mercoledì 19 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro XV° (15/20)

Libro XV°

Condotta di Erode all'inizio del regno
Libro XV:1 - I, I. - Come Sossio ed Erode abbiano preso a viva forza Gerusalemme, e come abbiano fatto prigioniero Antigono, lo abbiamo riferito nel nostro libro precedente.
Libro XV:2 Parleremo ora delle cose che seguirono quegli eventi. Allorché Erode ebbe in suo potere tutta quanta la Giudea, dimostrò un favore speciale verso quella parte del popolo di Gerusalemme che era stata dalla sua parte quando lui era ancora uno del popolo, ma verso coloro che erano stati dalla parte dei suoi oppositori si vendicò e ogni giorno puniva qualcuno.
Libro XV:3 Onorava in special modo Pollione il Fariseo e il suo discepolo Samaia, poiché durante l'assedio di Gerusalemme costoro consigliavano i cittadini ad accogliere Erode, e perciò ora ne ricevevano la ricompensa.
Libro XV:4 Quando Erode, in tribunale, si trovava in pericolo di morte, questo Pollione rimproverò Ircano e i giudici, e preannunciò che qualora Erode avesse salva la vita, egli (un giorno) li avrebbe perseguitati tutti. E venne il tempo nel quale così accadde, perché Dio adempie le sue parole.
Libro XV:5 - 2. Impadronitosi allora di Gerusalemme, raccolse tutti i tesori del regno, spogliò i ricchi e quando ammassò una buona quantità di argento e di oro, se ne servi per fare regali ad Antonio e ai suoi amici.
Libro XV:6 Uccise anche quarantacinque capi dei sostenitori di Antigono, e pose guardie alle porte delle mura affinché, con i morti, non si potesse portare fuori nulla;
Libro XV:7 perquisivano attentamente i cadaveri e quanto trovavano d'argento e d'oro o di gran valore era portato al re; e le disavventure non avevano fine: da una parte, infatti, il loro avido padrone, che si trovava nel bisogno (di denaro), li saccheggiava, dall'altra parte il settimo anno, che capitava in quel tempo, li obbligava a lasciare riposare la campagna, poiché in quest'anno a noi è vietato coltivare la terra.
Uccisione di Antigono
Libro XV:8 Ricevuto Antigono prigioniero, Antonio decise di mantenerlo fino al suo trionfo; ma quando sentì che la nazione tramava ribellioni e restava fedele ad Antigono e portava odio a Erode, decise di tagliargli la testa in Antiochia,
Libro XV:9 perché difficilmente si poteva tenere quieti i Giudei con un altro modo. Strabone di Cappadocia conferma le mie parole allorché scrive come segue: “Antonio decapitò Antigono che gli era stato condotto ad Antiochia. Egli fu il primo Romano che decise di decapitare un re, poiché pensava che non vi fosse altro mezzo che potesse mutare l'attitudine dei Giudei affinché accettassero Erode, che era stato posto in suo luogo; poiché neppure sotto la tortura, essi li avrebbero sottomessi a proclamarlo re,
Libro XV:10 tanto alto era il concetto che avevano del re antecedente. E così pensava che tale infamia scemasse, in qualche modo, il ricordo che avevano di lui e attenuasse l'odio che nutrivano per Erode”. Così Strabone.
Sorte diversa di Fasaele e di Ircano
in prigionia
Libro XV:11 - II, I. - Quando il sommo sacerdote Ircano, che era prigioniero dei Parti, seppe che Erode aveva preso possesso del regno, andò da Erode, dopo essere stato liberato dalla cattività nella maniera seguente.
Libro XV:12 Barzafrane e Pacoro, generali dei Parti, fecero prigioniero Ircano che prima era stato sommo pontefice e poi re, con Fasaele, fratello di Erode, e li condussero nella Parthia.
Libro XV:13 Fasaele, non potendo resistere alla vergogna della prigionia e considerando una morte con onore migliore di una vita purché sia, morì uccidendosi di propria mano, come ho detto prima.
Libro XV:14 - 2. Quando Ircano fu portato là, Fraate, re dei Parti, lo trattò in modo cortese, perché aveva saputo che si trattava di una persona distinta e di nobile stirpe. Perciò lo sciolse dalle catene e gli consentì di abitare in Babilonia, ove vi era ancora un gran numero di Giudei.
Libro XV:15 Costoro onorarono Ircano come loro sommo sacerdote e re, come faceva tutta la nazione dei Giudei abitanti la regione fino all'Eufrate: questo lo gratificava molto.
Libro XV:16 Ma quando seppe che Erode aveva ottenuto il regno, il suo sentimento mutò in speranza: poiché fin da principio egli aveva avuto con lui relazioni cordiali e si aspettava che Erode si ricordasse dei favori fattigli da lui, allorché, mentre si trovava in giudizio vicino a essere condannato a morte, Ircano lo aveva salvato dal pericolo e dal castigo. Ne parlò dunque con i Giudei, perché era impaziente di recarsi da lui.
Libro XV:17 Essi cercavano di trattenerlo con loro e gli domandavano di restare ricordandogli i servizi e gli onori prestatigli. Asserivano che tra loro non gli sarebbe mancato nulla sia come sommo sacerdote sia quanto agli onori regali e, quel che è più, altrove non poteva avere tutto questo a motivo della sua mutilazione corporale, causatagli da Antigono, e che i favori che si ricevono dalle persone comuni non sono ricambiati nella stessa maniera quando esse diventano re, dato che la Fortuna li cambia e non di poco.
Libro XV:18 - 3. Nonostante le istanze fattegli, Ircano aveva un forte desiderio di partire. Ed Erode gli scrisse insistendo affinché egli chiedesse a Fraate e ai Giudei della regione di non lesinare la sua virtuale partecipazione alla regalità di Erode, perché questo era a momento per uno di ripagare, per l'altro di ricevere il pagamento per la gentilezza ricevuta, essendo stato da lui mantenuto e avendo avuto salva la vita.
Libro XV:19 Allorché scrisse questo a Ircano, mandò anche il suo inviato Samalla e una buona quantità di regali per Fraate con la domanda che egli non gli impedisse di manifestare al suo benefattore le stesse gentilezze da lui ricevute.
Libro XV:20 Questa premura non gli proveniva da tali motivazioni, ma dal fatto che egli non aveva diritto per governare e temeva che, con buone ragioni, potesse avvenire un cambiamento; e così era ansioso di avere in suo potere Ircano o addirittura di toglierlo di mezzo; questo lo fece un po' più in là.
L'arrivo di Ircano in Giudea
Libro XV:21 - 4. Ma per il momento, quando venne (in Giudea), dopo l'assenso del re dei Parti e il sostegno finanziario dei Giudei, Erode lo accolse con tutti gli onori, gli assegnò il primo posto nelle adunanze, gli diede il posto più onorifico nei banchetti e lo chiamava “padre”. In tale modo lo ingannava in pieno e in diverse maniere si studiava di tenere nascoste le sue mire insidiose, affinché non fossero sospettate.
Libro XV:22 Si serviva anche di altri stratagemmi a vantaggio del suo potere, ma il risultato fu soltanto che aumentavano i dissensi nella sua stessa famiglia. Per esempio, siccome aveva bisogno di evitare la designazione a sommo sacerdote di Dio di una persona distinta, mandò a chiamare da Babilonia un sacerdote piuttosto mediocre di nome Ananel e gli conferì il sommo sacerdozio.
Alessandra e le notizia di Dellio
Libro XV:23 - 5. Da Alessandra figlia di Ircano e moglie di Alessandro, figlio del re Aristobulo, questo fu subito preso come un insopportabile insulto ad Alessandro: lei aveva avuto (due) figli da Alessandro, (due) figli di aspetto straordinariamente bello, di nome Aristobulo e Mariamme, moglie di Erode, celebrata per la sua avvenenza.
Libro XV:24 Lei ne fu turbata e soffriva per l'indegno trattamento fatto a suo figlio, cioè che fosse stato chiamato uno da fuori e gli fosse stata conferita la dignità di sommo sacerdote, quando suo figlio era vivo; e con l'aiuto di un certo cantante per recapitare una lettera, scrisse a Cleopatra chiedendole di domandare ad Antonio di ottenere il sommo pontificato per suo figlio.
Libro XV:25 - 6. Antonio non diede molto peso alla domanda, ma il suo amico Dellio, venuto in Giudea per certe pratiche, quando vide Aristobulo restò ammirato per il suo fascino e fu pieno di stupore per la sua statura e per la sua bellezza, non meno che per (la bellezza di) Mariamme, moglie del re. E mostrava chiaramente di giudicare che Alessandra era la madre di una bella prole.
Libro XV:26 E quando essa entrò in conversazione con lui, egli la persuase a dargli i ritratti di ambedue per inviarli ad Antonio, dicendo che qualora li vedesse, non le avrebbe negato alcuna delle sue domande.
Libro XV:27 Sollevata da queste parole, Alessandra inviò i ritratti ad Antonio. Dellio ne parlava in termini estasiati, dicendo che i figli di lei gli sembravano nati da qualche dio più che da esseri umani: nel suo racconto si studiava di sedurre Antonio nei piaceri (sessuali).
Libro XV:28 Ma egli (Antonio) non giudicò conveniente chiamare a sé la ragazza, perché già sposata ad Erode e perché voleva evitare le calunnie che, per una simile azione, gli avrebbe creato Cleopatra. E gli diede istruzioni affinché gli fosse inviato il ragazzo con un accompagnamento decoroso, e aggiunse, “se ciò non porta disturbo”.
Libro XV:29 Quando Erode seppe questo, decise che per lui non era sicuro mandare Aristobulo, ragazzo di somma avvenenza - non aveva che sedici anni - di famiglia distinta, ad Antonio, allora più potente di ogni altro Romano e pronto a servirsene per scopi erotici e capace di indulgere nei piaceri senza riguardo, a motivo del suo potere.
Libro XV:30 Perciò gli rispose dicendo che, se il ragazzo mettesse soltanto i piedi fuori della regione, tutta la terra si riempirebbe di disordini e di guerra, poiché i Giudei avevano speranze di un rovesciamento di governo col passaggio del comando a un altro re.
Libro XV:31 - 7. Scusatosi così con Antonio, Erode decise di non lasciare senza alcun onore il ragazzo e Alessandra; tanto più che sua moglie, Mariamme, lo pregava di restituire con urgenza il sommo pontificato a suo fratello, e anche perché riteneva che gli sarebbe tornato a suo vantaggio perché, una volta collocato in quell'ufficio, Aristobulo non avrebbe più potuto allontanarsi dal paese.
Aristobulo sommo sacerdote e Alessandra
sotto accusa
Libro XV:32 Convocò quindi un consiglio dei suoi amici e accusò acerbamente Alessandra di avere ordito segretamente un complotto contro il suo trono, asserendo che si adoperava per mezzo di Cleopatra affinché Antonio gli togliesse il potere e, in sua vece, passasse il governo al ragazzo;
Libro XV:33 ma la sua non era una mira giusta, in quanto, egli asseriva, in tale modo si privava la figlia dell'onore di cui attualmente godeva, e lei stessa avrebbe suscitato disordini in un regno per il quale aveva lavorato così duramente, e l'aveva ottenuto superando pericoli non comuni.
Libro XV:34 Tuttavia, disse, egli non avrebbe ricordato le scorrettezza da lei commesse, né si sarebbe astenuto dal procedere con giustizia; però avrebbe dato ora il sommo sacerdozio a suo figlio; prima infatti aveva designato Ananel, perché Aristobulo era ancora un semplice ragazzo.
Libro XV:35 Parlò così non alla cieca, ma in maniera molto avveduta, in considerazione di ciò che voleva fare per aggirare le donne e gli amici convocati a consiglio. Alessandra rimase molto agitata per la gioia delle cose inattese e, per
la paura di vedersi sospettata, prese a difendere se stessa con le lacrime agli occhi.
Libro XV:36 Per il (sommo) sacerdozio, ammise di avere fatto il possibile (per suo figlio) pur di liberare (il figlio) dal disonore che l'avrebbe colpito; ma quanto al potere regio, disse di non avere macchinazione, né, quand'anche le venisse offerto, l'avrebbe accettato, sembrandole sufficiente l'onore di cui ora godeva per il potere che aveva e la sicurezza che ne derivava all'intera sua famiglia per il fatto che egli era più abile di tutti gli altri a comandare.
Libro XV:37 Disse di sentirsi ora colma delle sue benedizioni, lei accetterà l'ufficio per suo figlio e sarà obbediente sotto ogni aspetto; domandava ancora di essere perdonata se per interesse della famiglia e per sua naturale franchezza avesse oltrepassato i limiti del dovere, spinta dall'impulso per il trattamento indegno che aveva ricevuto.
Libro XV:38 Queste furono le parole che si scambiarono e con più ansia che velocità si diedero assicurazioni di buona fede e l'incontro si sciolse. Ogni sospetto, a quanto sembrava era rimosso.
Libro XV:39 - III, I. - Così il re Erode esonerò Ananel dal sommo sacerdozio; come abbiamo detto prima, egli non era nativo (della Giudea), ma era un discendente dei Giudei che erano stati trasferiti al di là dell'Eufrate, poiché non meno di diecimila di questo popolo furono trasferiti in Babilonia;
Libro XV:40 Ananel, che veniva di là, apparteneva a una famiglia di sommi sacerdoti, e da Erode era considerato da tempo come un amico di valore. Fu lui che lo onorò non appena ebbe la regalità, e così ora lo licenziò volendo porre fine alla discordie in seno alla propria famiglia. Ma in questo agì contro la legge, perché nessun altro prima d'ora era stato rimosso
Libro XV:41 eccetto Antioco Epifane che fu il primo a violare questa legge, allorché rimosse Gesù e designò suo fratello Onia; in seguito ci fu Aristobulo che rimosse il proprio fratello Ircano; il terzo fu Erode allorché tolse l'ufficio (ad Ananel) e lo diede al giovane Aristobulo.
Inquietudini di Alessandra e lettera
a Cleopatra
Libro XV:42 - 2. Con questo parve che Erode avesse chetato le sue discorde domestiche. Ma non rimase a lungo senza sospetti com'è naturale dopo una riconciliazione: aveva ragione di temere dai passati tentativi di Alessandra che macchinava per rovesciare il governo non appena le si presentava l'occasione.
Libro XV:43 Perciò egli le ordinò di starsene nel suo palazzo e di non fare nulla di propria autorità; e siccome una guardia la vigilava attentamente e nulla le sfuggiva, neppure di quanto faceva nella vita di ogni giorno.
Libro XV:44 Tutto ciò gradualmente la inasprì e accrebbe in lei l'odio giacché condivideva pienamente l'alterigia femminile e mal sopportava la sospettosa guardia alla quale era assoggettata; giudicava che qualsiasi cosa fosse meglio piuttosto della perdita della sua libertà, e del vivere il resto della vita in schiavitù, nonostante questo, apparisse onorata.
Libro XV:45 Scrisse perciò a Cleopatra avvertendola del suo doloroso stato e pregandola di darle il soccorso che poteva. Cleopatra le rispose di scappare in segreto con suo figlio e di recarsi in Egitto da lei.
Libro XV:46 Questa parve ad Alessandra una buona idea e preparava il seguente disegno: avere due casse sul tipo di quelle con le quali si trasportano i mori; ai servi al corrente del piano, dare ordini di trasportarla fuori di notte; in una si era messa lei, suo figlio nell'altra; di là avrebbero preso una strada per il mare ove una nave era pronta per salpare verso l'Egitto.
Libro XV:47 Ma il suo servo Esopo incautamente riferì questo a Sabbione, uno degli amici di lei, pensando che fosse al corrente del piano. Quando Sabbione ne venne a conoscenza - egli era stato prima, come accade, nemico di Erode perché credeva che fosse uno di quelli che avevano complottato per l'avvelenamento di Antipatro - vide qui l'occasione di cambiare l'odio di Erode in benevolenza, informandolo di quanto stava avvenendo, e così narrò al re tutto quanto riguardava il complotto di Alessandra.
Libro XV:48 Egli (Erode) lasciò che le cose procedessero portando avanti il piano per poi catturarla nell'atto della fuga. Ma non tenne conto della mancanza di lei perché non osò prendere alcuna misura drastica contro la donna, anche se l'avrebbe desiderato, perché Cleopatra, oltre all'odio contro di lui, non avrebbe permesso di essere accusata: e così egli fece mostra di magnanimità come se le perdonasse per gentilezza piuttosto che per un'altra ragione.
Libro XV:49 Era comunque deciso in ogni modo di liberarsi del giovane, ma gli parve preferibile mantenere nascosti i propri motivi qualora non avesse agito subito o immediatamente dopo le cose avvenute.
Soffocamento di Aristobulo
Libro XV:50 - 3. Quando giunsero i Tabernacoli questa è una festività osservata da noi con cura particolare - egli aspettava il transito di questi giorni perché sia lui che il popolo si davano alla gioia. Ed era proprio da questa occasione che spuntava l'invidia, operava chiaramente dentro di lui e lo condusse a portare a effetto i suoi scopi in maniera più veloce.
Libro XV:51 Aristobulo era un giovane di diciasette anni quando salì all'altare per compiere i sacrifici secondo la legge, indossava l'abito ornato dei sommi sacerdoti ed eseguiva i riti del culto, era straordinariamente di bell'aspetto e più alto della maggior parte dei giovani della sua età, mostrava perciò tutta la nobiltà della sua stirpe.
Libro XV:52 Sorse così tra il popolo uno spontaneo sentimento di affezione verso di lui e venne in mente a tutti la memoria viva delle gesta compiute dal suo nonno Aristobulo. Gradualmente sopraffatti, rivelarono i loro sentimenti di gioia e, allo stesso tempo, di dolorosa emozione, e gli gridarono voci di augurio miste a preghiere, cosicché fu evidente l'affetto della folla e la manifestazione delle loro emozioni parve troppo impulsiva per la vista di un re.
Libro XV:53 Fatto sta che per tutte queste cose Erode decise di mandare ad effetto i suoi disegni contro il giovane. Terminata la festa, banchettarono a Gerico ospiti di Alessandra, egli dimostrava molta gentilezza verso il giovane e lo portò a bere senza paura, ed egli era pronto a unirsi al suo gioco e si comportava come un giovane per fargli piacere.
Libro XV:54 Ma il luogo era naturalmente molto caldo, ed essi presto si recarono in gruppo a compiere una passeggiata; nella località si trovavano vasche da bagno, alcune delle quali, di fianco al palazzo, erano spaziose, e così si rinfrescarono dall'eccessivo calore del mezzodì.
Libro XV:55 All'inizio osservarono dei servi e amici (di Erode) che nuotavano, poi, stimolati da Erode, la gioventù fu indotta (a raggiungere; quando sopravvenne la notte ed egli ancora seguitava a nuotare, alcuni amici - ai quali erano stati dati ordini di comportarsi così - lo presero, lo tuffarono giù e lo
trattennero sott'acqua come per gioco, e non lo lasciarono risalire fino a che non fu completamente affogato.
Libro XV:56 In questo modo fece fuori Aristobulo, quand'egli aveva al massimo diciotto anni e aveva per un anno tenuto il sommo sacerdozio. Questo ufficio fu nuovamente ripreso da Ananel.
Dolore di Alessandra e lettera
a Cleopatra
Libro XV:57 - 4. Allorché l'accaduto fu riferito alle donne, improvvisamente innalzarono lamentazioni con irrefrenabile dolore, sul corpo morto che giaceva davanti a esse. Anche la città restò profondamente rattristata non appena circolò la voce dell'accaduto. Ogni famiglia si sentì colpita dalla sventura come se fosse accaduto a uno dei suoi membri, e non a un estraneo.
Libro XV:58 Alessandra si doleva amaramente più di tutti quanti udirono la notizia della morte (del figlio): da una parte si doleva perché sapeva la verità sul fatto e dall'altra per la paura che qualcosa di più grave la minacciasse;
Libro XV:59 e spesso giunse alla conclusione di farla finita con la vita con le proprie mani; eppure era trattenuta nella speranza che, vivendo, avrebbe potuto vendicare il figlio tradito in modo così proditorio ed empio. Per tale motivo era tanto più incoraggiata a vivere, e tuttavia senza offrire alcun indizio di sospetto, pensava che la morte del figlio le offrisse una sufficiente occasione di vendetta.
Libro XV:60 Ella dunque dissimulava coraggiosamente il proprio compor-tamento per non dare sospetti. Esternamente Erode si comportava in modo da fare credere che la morte del giovane non era avvenuta per suo consiglio, non solo adottava tutte le possibili sembianze dell'uomo addolorato, ma ricorreva perfino alle lacrime e dimostrava un animo veramente turbato. Poteva accadere che l'emozione lo cogliesse quando pensava al bell'aspetto giovanile del ragazzo, sebbene la sua morte fosse stata considerata necessaria per la sua propria salvezza. Ma era palese che questi suoi comportamenti erano assunti per scusare se stesso.
Libro XV:61 Tanto maggiori furono le ostentazioni di magnificenza che diede ai funerali, con i grandi preparativi che allestì per abbellire la tomba e la grande quantità di profumi e per arricchirla con un gran numero di finissimi addobbi
che seppellì con lui e così esternò un poco della tristezza delle donne afflitte e fino a un certo punto le consolò.
Libro XV:62 - 5. Alessandra però non era attratta da azioni del genere. Anzi, la memoria della propria sfortuna, le causava una pena così profonda, la rendeva più loquace e desiderosa di vendetta; e scrisse una lettera a Cleopatra sul tradimento di Erode e la perdita del figlio.
Libro XV:63 Siccome da tempo era pronta a porgere aiuto ad Alessandra, in risposta alle sue suppliche e mossa dalla sua sfortuna, Cleopatra fece tutto ciò come se si trattasse di un caso che la riguardasse personalmente e non cessava di spingere Antonio a vendicare l'assassinio del figlio di Alessandra; lei, infatti, diceva essere una cosa ingiusta che Erode, fatto da lui re di un paese al quale non aveva alcun diritto di comandare, avesse compiuto una tale bassezza verso coloro che erano veramente re.
Erode convocato da Antonio
Libro XV:64 Persuaso da tali ragioni, Antonio non appena giunse in Laodicea, scrisse a Erode ordinandogli di recarsi là e illuminarlo sulle accuse fattigli in merito ad Aristobulo, perché, diceva, si era comportato in modo criminale, se il complotto era stato diretto da lui.
Libro XV:65 Pertanto Erode, temendo ambedue le cose, e questa accusa e l'ostilità di Cleopatra, che non aveva mai smesso di mettergli contro Antonio con ogni mezzo, decise di obbedire, giacché non poteva fare diversamente; lasciò a suo zio Giuseppe la cura degli affari del regno, dandogli, in segreto, istruzioni affinché, qualora gli capitasse qualcosa (di fatale) mentre si trovava da Antonio, egli provvedesse subito alla eliminazione anche di Mariamme.
Libro XV:66 Perché, disse, era molto innamorato della moglie e temeva l'oltraggio (che ne sarebbe derivato alla propria memoria) qualora dopo la sua morte, lei fosse stata perseguitata da un altro uomo a motivo della sua bellezza.
Libro XV:67 Tutto ciò era un modo di indicare il desiderio di Antonio per la donna della cui bellezza, come capita, aveva sentito casualmente (parlare) molto tempo prima. Con tali istruzioni e incerte speranze sulle eventualità future, Erode partì per incontrare Antonio.
Libro XV:68 - 6. Intanto Giuseppe, rimasto ad amministrare gli affari del regno, incontrava ripetutamente Mariamme per i pubblici affari e per l'ossequio che era obbligato a dimostrarle come regina, e ripetutamente la conversazione cadeva sull'affetto di Erode e sul grande amore che aveva per lei.
Libro XV:69 E quando, come sogliono le donne, lei, e più ancora Alessandra, simulavano di non credere alle sue affermazioni, Giuseppe in un eccesso di zelo, nel rivelare i sentimenti del re, si spinse tanto oltre da parlare delle istruzioni ricevute e offrendole come prova del fatto che Erode non poteva vivere senza di lei, né che, qualora gli capitasse un maligno destino, avrebbe sopportato di venire separato da lei neppure dalla morte.
Libro XV:70 Queste erano le argomentazioni di Giuseppe, ma le donne, com'è naturale, erano soprattutto impressionate non dalle espressioni del grande amore di Erode, ma dalla sua crudeltà, riflettendo che neppure alla sua morte, loro stesse sarebbero sfuggite al destino di una morte tirannica; e così in quanto era stato detto loro, trovavano una connessione di crudeltà.
Durante l'assenza di Erode
Libro XV:71 - 7. In questo tempo, per la città di Gerusalemme, corse la voce, sparsa dai nemici di Erode, che Antonio l'avesse torturato e messo a morte. Com'era naturale, questa voce, eccitò tutti, specie la gente del palazzo e in particolare le donne.
Libro XV:72 Alessandra, persuasa da Giuseppe a lasciare il palazzo e a rifugiarsi con loro sotto le insegne della legione romana che a quell'epoca era accampata attorno alla città per proteggere la posizione del re ed era sotto il comando di Giulio.
Libro XV:73 Perché, essa diceva, grazie a questa (forza romana), sarebbero in primo luogo vissute in maggiore sicurezza avendo l'amicizia dei Romani, qualsiasi agitazione fosse sorta nel palazzo; in secondo luogo, lei sperava anche di ottenere qualunque cosa desiderava qualora Antonio volesse vedere Mariamme, perché per mezzo di lui essi potevano riavere il trono e così non mancare di nulla, com'è naturale per quanti sono di stirpe reale.
Successo di Erode presso Antonio
Libro XV:74 - 8. Ma mentre erano occupati in questi pensieri, giunse loro una lettera da Erode, in merito agli affari del paese, contraria alla voce che era stata diffusa prima.
Libro XV:75 Perché, non appena ebbe incontrato Antonio, presto lo conquistò con i regali portati da Gerusalemme, e con le sue argomentazioni lo dispose presto a non provare collera verso di lui; i ragionamenti di Cleopatra non erano tali da oscurare i meriti che egli aveva per Antonio;
Libro XV:76 il quale diceva che non è bene che un re sia citato a rendere ragione del suo operato nel suo regno, in tale modo non sarebbe più re; e che colui che lo aveva innalzato a quel grado e dotato di tale potere, gli doveva lasciare anche la libertà di avvalersene; e lo stesso, diceva, sarebbe stato meglio e utile per Cleopatra, che non si immischiasse negli affari del governo.
Libro XV:77 Questo era il contenuto della lettera di Erode: in essa raccontava, ancora, gli onori ricevuti da parte di Antonio come il sedere in tribunale affianco a lui e trattenersi con lui a mangiare ogni giorno; diceva pure di avere ricevuto tali privilegi, a dispetto delle amare accuse fattegli da Cleopatra, perché lei desiderava avere per se stessa la terra di lui e il suo trono, e cercava di eliminarlo con ogni mezzo.
Libro XV:78 Invece Erode aveva trovato Antonio leale, non si aspettava che accadesse altro di disdicevole, ma sarebbe arrivato presto a casa con l'assicurazione di avere stretto buone relazioni con Antonio per il suo regno e il suo governo.
Libro XV:79 Di Cleopatra, diceva, che non aveva più da accarezzare alcuna speranza di soddisfare la sua avidità, poiché Antonio le aveva dato la Cele-Siria invece del territorio che aveva chiesto e in tal modo l'aveva placata e allo stesso tempo si liberava dalle continue richieste che andava facendo per la Giudea.
Intrighi di donne
Libro XV:80 - 9. Arrivata questa lettera, le donne abbandonarono il progetto di fuggire dai Romani, progetto architettato nella supposizione della morte di Erode. Tuttavia il piano non era rimasto segreto, poiché quando il re ritornò in Giudea, dopo avere, in parte, scortato Antonio nel cammino contro i Parti, sua sorella Salome e sua madre gli rivelarono subito quali fossero le intenzioni di Alessandra e degli amici di lei;
Libro XV:81 Salome parlò anche contro suo marito Giuseppe accusandolo di avere avuto frequenti rapporti con Mariamme; disse tali cose perché per molto tempo lei aveva odiato Mariamme, perché nelle loro contese lei manifestava uno spirito altero rinfacciando i modesti natali della sua famiglia.
Libro XV:82 Erode, che per Mariamme nutriva sempre un amore ardente, ne fu subito turbato, essendo poco capace di sopportare a lungo la gelosia, ma ebbe sufficiente controllo di se stesso in tutto questo periodo, guardandosi dal compiere azioni precipitose a motivo del suo amore; spinto però da intensa emozione e gelosia, prese in disparte Mariamme e la interrogò sulle sue relazioni con Giuseppe.
Libro XV:83 Visto che lei negava ogni cosa con giuramento e, in propria difesa, disse quanto può affermare una donna che non commise nulla di male, il re gradatamente si persuase; calmò la sua collera e, vinto dalla tenerezza verso la moglie, effettivamente si scusò per l'avere apparentemente creduto a quanto aveva udito; egli spontaneamente ammise la sua gratitudine per il comportamento modesto di lei
Libro XV:84 e le manifestò quanto fosse la sua passione per lei e quanto lui le fosse devoto. E, in fine, com'è usuale tra gli amanti, si misero a piangere e ad abbracciarsi con grande intensità.
Libro XV:85 Or, mentre il re continuava a ripeterle i sentimenti che nutriva verso di lei e a stimolare da lei la sua partecipazione, Mariamme disse: “Non è l'atto di un amante comandare (affermare) che se gli fosse successo qualcosa di grave per mano di Antonio, io pure dovessi essere messa a morte, pur se innocente”.
Libro XV:86 Non appena la sua bocca pronunciò queste parole, colpito da profondo dolore, d'un tratto le mani del re la lasciarono, prese a gridare e a strapparsi di propria mano i capelli dicendo che la sua comune intesa con Giuseppe era provata;
Libro XV:87 egli, infatti, non le avrebbe manifestato quanto gli era stato detto in privato se tra i due non ci fosse stata una confidenza completa. A questo punto stava per uccidere la moglie, ma, sopraffatto dall'amore per lei, trattenne l'impulso istintivo, nonostante lo sforzo fosse doloroso e difficile. Tuttavia diede ordini che Giuseppe fosse ucciso, senza neppure vederlo, mise Alessandra in
catene e sotto custodia, perché anche lei era, in parte, da biasimare per tutti questi intrighi.
Donazioni di Antonio a Cleopatra
Libro XV:88 - IV, I. Intanto negli affari della Siria regnava la confusione a motivo di Cleopatra che non cessava di spronare Antonio ad attaccare tutti (i governanti) e a convincerlo a togliere a ognuno i suoi domini e passarli a lei; essa aveva un grande influsso su di lui a motivo della sua passione verso di lei.
Libro XV:89 Siccome poi, per natura, era avida delle cose altrui, non vi era legge che non violasse; col veleno tolse la vita a suo fratello di quindici anni, al quale spettava il regno; per mezzo di Antonio uccise Arsinoe, sua sorella, mentre era supplice nel tempio di Artemide in Efeso.
Libro XV:90 Per avidità di denaro, da ovunque avesse anche la più tenue speranza di trarne, violava templi e tombe; nessun luogo sacro era da lei considerato così inviolabile da non poterne asportare qualche ornamento, e nessun luogo secolare che non fosse soggetto a indegnità d'ogni genere, purché potesse soddisfare l'ingiusta cupidigia di questa donna viziosa.
Libro XV:91 Insomma nulla bastava a questa donna stravagante, schiava dei propri appetiti, sicché tutto il mondo non era sufficiente a soddisfare le brame della sua immaginazione. Questo era il motivo per cui continuamente spingeva Antonio a rubare agli altri per farne dono a lei. E quando attraversava la Siria con lui non pensava ad altro che a possederla.
Libro XV:92 Perciò accusò Lisania, figlio di Tolomeo, incolpandolo di indirizzare i Parti contro gli interessi del governo (romano) e lo uccise.
Libro XV:93 Chiese ad Antonio la Giudea e l'Arabia sollecitandolo che le togliesse ai loro governi regi e le desse a lei. Antonio era così dominato da questa donna, come capita, che sembrava obbedire a ogni suo desiderio non solo per l'intimità che aveva con lei, ma anche come se fosse sotto l'influsso di una droga. Ma la manifesta ingiustizia del suo agire lo portava a vergognarsi e si trattenne dal dimostrarsi tanto compiacente da commettere i più gravi crimini.
Libro XV:94 E così, per non negarle tutto o per non apparire degenerato concedendole apertamente quanto bramava, smembrò una parte del regno di entrambi, e ne fece dono a lei.
Libro XV:95 Le diede anche le città tra il fiume Eleutero e l'Egitto, a eccezione di Tiro e Sidone, ch'egli sapeva essere state libere dai tempi più antichi, benché lo sollecitasse ardentemente a donarle a lei.
Superata l'inimicizia tra Erode
e Cleopatra
Libro XV:96 - 2. Ottenuti questi doni e scortato Antonio fino all'Eufrate nella spedizione contro l'Armenia, Cleopatra fece ritorno e si fermò ad Apamea e a Damasco; andò poi in Giudea ove Erode la incontrò e le passò quelle parti dell'Arabia che le erano state donate, e anche le rendite della regione di Gerico. Questo paese produce balsamo che è il prodotto più prezioso e cresce soltanto là, e anche alberi di palma numerosi ed eccellenti.
Libro XV:97 Mentre si trovava in tale situazione, avendo molto spesso la compagnia di Erode, Cleopatra tentò di avere relazioni (sessuali) con il re, giacché per natura era abituata a tale specie di piaceri senza ritegno. Forse sentiva anche realmente, in qualche misura, passione per lui o, il che è più probabile, lei stava segretamente complottando che le si facesse una qualche violenza e avesse così il pretesto per tendere una trappola. In breve, lei dava l'impressione di essere sopraffatta dal desiderio.
Libro XV:98 Ma era molto tempo che Erode non sopportava Cleopatra, sapendo quanto fosse depravata con tutti, e in questo periodo aveva ragioni particolari per ritenerla singolarmente spregevole per la lussuria che la spingeva così lontano; e se lei avesse fatto delle proposte per prenderlo in trappola, egli avrebbe avuto motivo di recare danno a lei prima che lei recasse danno a lui. Perciò egli eluse le sue profferte e prese consiglio dai suoi amici se dovesse ucciderla mentre era in suo potere:
Libro XV:99 in questa maniera egli pensava che avrebbe liberato da molti guai tutti coloro per i quali lei era già stata una depravata, e verosimilmente lo sarebbe stata in futuro; allo stesso modo, arguiva, che ciò sarebbe stato un regalo per Antonio, perché neppure a lui lei sarebbe apparsa leale se una necessità o un bisogno lo portasse ad avere bisogno del suo (soccorso).
Libro XV:100 Ma i suoi amici lo misero in guardia dal seguire tale piano: in primo luogo rilevarono che non valeva la pena di correre il pericolo più ovvio di un passo così grave, e gli chiesero di non compiere azioni impulsive.
Libro XV:101 Antonio, dicevano, non avrebbe tollerato un'azione del genere anche se uno gli avesse posto davanti i vantaggi; il suo amore sarebbe divampato ancora più furioso, qualora avesse pensato che lei gli fosse stata sottratta con la violenza e l'inganno, e nessuna scusa poteva rendere ragionevole il compiere un simile attentato contro la donna che aveva la posizione più alta tra quelle del suo tempo; quanto al beneficio che ne derivava, seppure si poteva pensare che ci fosse, si doveva vedere con la noncurante e indifferente attitudine di Antonio.
Libro XV:102 Non era difficile prevedere come fatti del genere avrebbero condotto un'infinita catena di mali sul suo trono e sulla sua famiglia. Pertanto non vi era alcun dubbio su ciò che doveva fare: trattenersi dai crimini ai quali lei lo istigava e in quella situazione doveva comportarsi in maniera rispettabile.
Libro XV:103 Spaventandolo con tali argomentazioni e mostrandogli i pericoli in cui ragionevolmente poteva incorrere, lo trattennero dall'eseguire i suoi piani; egli corteggiò Cleopatra con doni e la accompagnò sulla via per l'Egitto.
Antonio in Armenia; tributi di Erode
a Cleopatra
Libro XV:104 - 3. Quando Antonio sottomise l'Armenia, inviò Artabaze, figlio di Tigrane, prigioniero in Egitto, con i suoi figli e i satrapi, facendone un regalo a Cleopatra con le cose più preziose del loro regno.
Libro XV:105 Artassia, il figlio più anziano di Artabaze, che si era sottratto al pericolo con la fuga, divenne re dell'Armenia. Allora Archelao e Nerone Cesare lo espulsero e lo sostituirono sul trono con Tigrane, il più giovane dei suoi fratelli. Queste cose, però, avvennero dopo.
Libro XV:106 - 4. Quanto al tributo a Cleopatra per il territorio datole da Antonio, Erode soddisfece pienamente il contratto, credendo che sarebbe stato malsicuro offrire a lei una qualsiasi ragione per odiarlo.
Libro XV:107 E il re arabo per il quale Erode si era addossato il pagamento del tributo, per qualche tempo gli sborsò duecento talenti, ma in seguito divenne refrattario e dilazionava il pagamento. Per la verità, era difficile che pagasse parte di quanto doveva, e anche così non dava senza trattenersene una parte.
Erode attacca gli Arabi
Libro XV:108 - V, I. - Dato che il re arabo era così refrattario, e in fine rifiutò di fare quanto correttamente si supponeva, Erode era pronto a marciare contro di lui, ma la guerra romana fu occasione di dilazione.
Libro XV:109 Siccome si aspettava la battaglia di Azio che, come avvenne, ebbe luogo nella centoottantesimasettima olimpiade, allorché Cesare ebbe la contesa con Antonio per l'impero del mondo, Erode, che da molto tempo teneva una regione ricca di pascoli con rendite e risorse, arruolò una forza ausiliaria per Antonio, la rifornì, con molta cura, di uno scelto equipaggiamento.
Libro XV:110 Tuttavia, Antonio disse di non avere bisogno del suo aiuto e gli ordinò di andare contro il re arabo, della cui slealtà aveva saputo sia da Erode sia da Cleopatra. Ora Cleopatra aveva domandato questo, pensando che se i due re si fossero reciprocamente indeboliti, lei ne avrebbe approfittato.
Libro XV:111 Quando da parte di Antonio gli giunse questo ordine, Erode retrocedette e mantenne il suo esercito con l'intenzione di invadere subito l'Arabia. Equipaggiò una forza di cavalleria e di fanteria e poi andò a Diospoli, ove gli Arabi andarono ad incontrarlo perché la notizia dei suoi preparativi bellici non era loro sconosciuta. Ebbe luogo una feroce battaglia e vinsero i Giudei.
Libro XV:112 Ma in seguito un grande esercito di Arabi si radunò a Kanata, che è un paese nella Cele-Siria, ed Erode che ne era stato informato in antecedenza, andò a incontrarlo con la maggior parte della sua forza. Giunto vicino al nemico, decise di accamparsi in un posto favorevole, innalzare una palizzata come una posizione vantaggiosa dalla quale iniziare il suo attacco.
Libro XV:113 Ma mentre egli era occupato nella sistemazione di questo, la moltitudine dei Giudei gli gridarono di porre fine agli indugi e di guidarli contro gli Arabi. Ciò che li spingeva era la fiducia di essere bene organizzati; i più accaniti erano coloro che erano stati vittoriosi nella prima battaglia, e non avevano neppure permesso agli avversari il corpo a corpo.
Libro XV:114 A motivo del rumoreggiare e del grande accanimento che manifestavano, il re decise di avvalersi dell'ottima disposizione dei suoi uomini, e dopo avere asserito che non sarebbe stato superato da loro nella lotta più
accanita, prese le armi e si portò avanti, seguito da tutti, ognuno secondo la propria posizione.
Libro XV:115 Presto vi fu costernazione tra gli Arabi; infatti dopo una breve resistenza si accorsero che i Giudei erano imbattibili e pieni di coraggio, e così la maggioranza si rifiutò di combattere e fuggì; sarebbero stati distrutti tutti se Atenion non avesse attaccato Erode e i Giudei.
Libro XV:116 Costui, infatti, era un generale di Cleopatra incaricato delle sue forze ed era in disaccordo con Erode. Mentre osservava lo scontro, non gli era ignoto l'esito poiché aveva stabilito di starsene tranquillo se gli Arabi si fossero comportati bene, ma qualora restassero sconfitti, come attualmente stava accadendo, di attaccare i Giudei con una propria forza da lui stesso preparata con nativi della regione che a lui si erano aggregati.
Libro XV:117 Inaspettatamente si abbattè sui Giudei stanchi che già si ritenevano vittoriosi e ne atterrò un gran numero. I Giudei, allora, avevano speso tutto quanto il loro ardore contro i loro nemici dichiarati e si godevano la vittoria, senza pensare ad altri pericoli: attaccati, improvvisamente, dagli assali-tori, lasciarono sul terreno molte perdite; il terreno era pietroso, impraticabile per i cavalli e più familiare agli assalitori.
Libro XV:118 Mentre (i Giudei) si trovarono in condizioni così precarie, gli Arabi ripresero fiato, ritornarono, e uccisero i Giudei in fuga: molti caddero in vari modi; e soltanto pochi di quanti fuggivano trovarono scampo nel loro accampamento.
Libro XV:119 Allora il re Erode, disperando dell'esito della battaglia, spronò il cavallo per portare aiuto, ma, a dispetto della velocità, non fece abbastanza in fretta a portare soccorso e l'accampamento dei Giudei fu preso. Gli Arabi, ottenendo questa vittoria così inaspettata e lontana dalla loro consistenza e distruggendo gran parte delle forze nemiche, ebbero una eccessiva fortuna.
Libro XV:120 Di lì innanzi, Erode ricorse al brigantaggio, infestò molte parti del territorio degli Arabi danneggiandolo con le sue ruberie; si accampò sulle montagne e di là compiva spesso scorrerie sulle campagne sottostanti non esponendosi mai in battaglie aperte, e tuttavia compì considerevoli danni con l'assiduità delle sue scorrerie; era anche molto attento ai suoi uomini, servendosi di ogni mezzo per fare buon uso delle perdite.
Terremoto nella Giudea.
Ripresa della guerra contro gli Arabi
Libro XV:121 - 2. In questo periodo ebbe luogo ad Azio la guerra tra Cesare e Antonio; era il settimo anno del regno di Erode e in Giudea ci fu un terremoto tale da non avere paragone nel passato, che fu causa di grandi distruzione e perdite di bestiame in tutta la regione.
Libro XV:122 Circa trentamila persone perirono nelle rovine delle loro case, ma l'esercito, che era all'aperto, non subì alcun danno da questa calamità.
Libro XV:123 Quando gli Arabi seppero di questa calamità - l'accaduto era stato riportato in una forma che andava ben oltre la verità dei fatti da alcune persone che intendevano compiacere i loro uditori nel loro odio (contro i Giudei) - diventarono così baldanzosi da credere che la terra del nemico fosse in rovina e gli uomini periti; e pensavano che non ci fosse più nulla a contrastarli;
Libro XV:124 così attaccarono e uccisero l'ambasciata dei Giudei, andati a proporre loro la pace a causa di tutti questi avvenimenti, e con grande accanimento marciarono contro il loro accampamento.
Libro XV:125 I Giudei, scoraggiati dalla sfortuna, giudicarono persa la propria causa, e non opposero resistenza al loro attacco; si trovavano in una grave depressione. Dopo le precedenti sconfitte restavano senza speranza di ristabilirsi nelle condizioni di prima e di ricevere aiuto (dal di fuori) mentre i loro affari interni erano in quelle condizioni.
Libro XV:126 In questo stato di cose, il re cercò di fare coraggio ai comandanti con un discorso e di sollevare i loro spiriti. Dopo avere sperimentato l'impressione che faceva su alcuni degli uomini migliori dando loro coraggio, provò a indirizzarsi alla maggioranza, cosa che prima aveva esitato a fare nel timore di trovarli recalcitranti a motivo dei rovesci avuti. Iniziò quindi le mosse in questi termini.
Libro XV:127 - 3. “Non ignoro, uomini, che in questo periodo abbiamo incontrato molti ostacoli nelle nostre imprese, e che in mezzo a sventure del genere non è verosimile che anche uomini di forza superiore mantengano inalterato il loro coraggio.
Libro XV:128 Ma, dato che siamo spinti a combattere e nessuna delle cose passate è così cattiva che non se ne possa trarre del bene, con un'azione ben meditata, io mi propongo di infondervi coraggio e, allo stesso tempo, indicarvi come potete mantenere la vostra audacia.
Libro XV:129 Prima di tutto, intendo parlare della guerra e provare che siamo nel giusto a combattere una battaglia alla quale siamo spinti dalle azioni oltraggiose dei nostri avversari; se comprendete questo, avrete dalla vostra parte il più grande ardimento. In seguito voglio indicare come nella nostra situazione non vi sia nulla da temere e che noi abbiamo ogni buona ragione di sperare nella vittoria.
Libro XV:130 Principio, dunque, col primo punto e vi rendo testimoni di quanto dico, poiché di certo voi conoscete quanto gli Arabi siano illegali e quanto, nel loro agire, siano sleali verso tutte le nazioni, come ci si può aspettare da un popolo barbaro, sprovvisto di qualsiasi concetto di Dio. Ma è soprattutto con noi che vengono a conflitto a motivo della loro avarizia e della loro invidia, e aspettano la loro occasione per avvantaggiarsi subito della nostra confusione.
Libro XV:131 Perché parlare oltre? Basta ricordare chi fu che li liberò dal timore in cui si trovavano di perdere la loro autonomia di diventare schiavi di Cleopatra; chi li pose al sicuro? Se non io con la mia amicizia con Antonio e la sua benevolenza verso di noi, questo fu il motivo per cui gli Arabi non incolsero in un irreparabile danno, poiché Antonio fu attento a non prendere una misura che a noi appariva sospetta.
Libro XV:132 Tuttavia, quando egli volle donare alcune parti dei nostri domini a Cleopatra, fui nuovamente io che mi adoperai, offrendogli molti doni dei miei mezzi personali, e ottenni sicurezza per entrambi, e mi addossai il sovraccarico delle spese sborsando duecento talenti, e mi feci garante per altri duecento che dovevano provenire dalle rendite della terra, ma di questa somma siamo stati truffati da costoro (gli Arabi).
Libro XV:133 Ma ciononostante, nessuno aveva il diritto di aspettarsi che i Giudei pagassero un tributo per i possedimenti di qualcuno o dessero parte della loro terra; che seppure ciò avvenisse, non si doveva almeno pretendere che noi dovessimo pagare per gente salvata da noi. Tanto meno dovevano gli Arabi dopo avere fatto un affare, defraudandoci di una somma che al principio conside-ravano una concessione o un favore, tanto più che non siamo loro nemici, ma amici.
Libro XV:134 Che, se la fede ha valore verso i peggiori nemici, tanto più è necessaria verso gli amici. Ma non è così di costoro, per i quali l'onestà consiste nel guadagno pur che sia, senza tenere conto dei mezzi, e non credono che l'ingiustizia meriti di essere punita, purché sia vantaggiosa.
Libro XV:135 Vi è ancora un dubbio nelle vostre menti se dobbiamo punire questi uomini ingiusti, tanto più quando Dio stesso lo vuole e ci esorta sempre a odiare l'arroganza e l'ingiustizia e, ancora, quando stiamo conducendo una guerra non solo giusta, ma anche necessaria?
Libro XV:136 Poiché atti che Greci e barbari giudicano gravissime iniquità, costoro li hanno compiuti contro la nostra ambasciata e hanno tagliato loro le gole, quando i Greci hanno dichiarato che le ambasciate sono sacre e inviolabili e noi abbiamo imparato dai messaggeri inviati da Dio che la più nobile delle nostre dottrine e la più santa delle nostre leggi è questa. Questo nome, infatti, può portare la presenza di Dio agli uomini e riconciliare l'un l'altro i nemici.
Libro XV:137 Vi è empietà più grande che l'uccidere gli ambasciatori che vengono a discutere un giusto insediamento? Come possono avere una vita tranquilla o avere fortuna in guerra quando giungono a compiere atti del genere? A me pare impossibile.
Libro XV:138 Forse, tuttavia, qualcuno potrà affermare che costoro sono più coraggiosi e numerosi di noi. Ma anzitutto non vi è alcun diritto di parlare così, poiché coloro che hanno dalla propria parte la giustizia, hanno Dio dalla loro parte: e dove c'è Dio, vi sono pure e il numero e il coraggio.
Libro XV:139 Ma esaminiamo anche la nostra situazione. Nella prima battaglia noi eravamo vittoriosi; anche nel secondo scontro non fecero grande resistenza e si diedero subito alla fuga, incapaci di resistere al nostro attacco e al nostro spirito. Ma, a dispetto della nostra vittoria, Atenion ci attaccò e diede inizio a una guerra non dichiarata.
Libro XV:140 E’, questo, da parte loro, un agire da valorosi, oppure un ulteriore esempio di arbitrio e di inganno? Perché, dunque, dimostriamo meno spirito di fronte a ciò che dovrebbe accrescere la nostra speranza? Come possiamo temere persone che sono battute ogniqualvolta che combattono in modo corretto, e, invece, quando sembra che vincano, avviene unicamente con mezzi ingiusti?
Libro XV:141 E se qualcuno li crede eroici, non dovrebbe, questo, spingerci ad avere maggiore coraggio? Un animo forte si dimostra non cimentandosi con i deboli, ma nell'abilità di vincere i più gagliardi.
Libro XV:142 Chi si spaventa delle disavventure domestiche, come le rovine prodotte dal terremoto, deve ricordarsi anzitutto che questa è una situazione che trasse in inganno gli Arabi, che hanno ritenuto che le cose fossero peggiori di quello che sono in realtà; in secondo luogo, quanto sia inverosimile che a noi incuta spavento la stessa cosa che a loro infonde coraggio.
Libro XV:143 Costoro, infatti, attingono forza d'animo non da qualche buona qualità, ma esclusivamente dalle speranze basate sulla credenza che noi siamo esausti a motivo della sfortuna; se noi usciamo contro di loro, elimineremo la loro presunzione e riguadagneremo il vantaggio di combattere contro uomini scoraggiati.
Libro XV:144 Noi, infatti, non siamo stati colpiti in modo così brutto, né quanto è accaduto è un segno dell'ira di Dio, come qualcuno crede. Queste cose sono unicamente incidenti e causa di sfortune; e se ci furono inflitte in accordo al volere di Dio, è chiaro che sono ormai giunte alla fine concordemente alla Sua volontà, dopo la Sua soddisfazione per quanto ci è capitato. Se Egli avesse voluto colpirci ancora, Egli non avrebbe cambiato.
Libro XV:145 Che Egli voglia la continuazione della guerra e che la giudichi giusta, Egli stesso lo dimostrò chiaramente, perché nonostante il numero delle persone uccise dal terremoto in tutta la regione, nessuno dell'esercito ebbe a soffrirne, voi stessi siete rimasti tutti incolumi. Così Dio dimostrò chiaramente che se anche voi foste usciti nei campi in massa con i vostri figli e con le mogli, non avreste subito alcun male e sareste sfuggiti a sfortune irreparabili.
Libro XV:146 Con tali pensieri in mente e - questo è assai più importante - che avete Dio qual vostro protettore in ogni tempo, andate con giustizia e coraggio all'attacco di uomini sleali nell'amicizia, violatori della tregua in combattimento, sacrileghi verso gli ambasciatori, sempre inferiori alla vostra virtù”.
Erode infligge una disfatta agli Arabi
Libro XV:147 - 4. Dopo aver sentito queste parole, gli animi dei Giudei incominciarono a essere molto meglio disposti per la battaglia. Erode fece gli
usuali sacrifici, e, con premura, li guidò contro gli Arabi passando il fiume Giordano.
Libro XV:148 Pose l'accampamento vicino al nemico, ma giudicò prudente occupare la fortezza che li divideva ritenendo che in tal modo sarebbe stato avvantaggiato sia per giungere prima al confronto in battaglia, o, qualora fosse stato necessario posporlo, avere un campo fortificato preparato per lui.
Libro XV:149 Ma, siccome gli Arabi avevano in mente la stessa cosa, iniziò così la contesa per il luogo. All'inizio vi furono soltanto scaramucce, ma, avvicinandosi, cadevano sempre più da ambedue le parti fino a che quelli del campo arabo furono battuti e si ritirarono.
Libro XV:150 Questo contribuì non poco a rialzare le speranze dei Giudei, e quando il re Erode osservò che le forze del nemico avrebbero fatto tutto tranne che entrare in battaglia, irruppe con tutto il coraggio per abbattere le sue palizzate, avvicinarsi il più possibile al loro accampamento e attaccarlo. Messi sotto pressione con tali mezzi, avanzarono in disordine, senza entusiasmo e senza speranza di vittoria.
Libro XV:151 Combatterono tuttavia corpo a corpo, ma perché erano molto numerosi e anche perché erano diretti dalla necessità che li spingeva ad agire con velocità temeraria. Ne seguì una battaglia ostinata dove caddero da ambo le parti. Ma alla fine gli Arabi furono vinti e incominciarono a fuggire:
Libro XV:152 fu tanto grande la strage che avvenne allorché presero a fuggire, che perirono non solo per mano nemica, ma contribuirono alla propria sfortuna, calpestati parte dalla moltitudine che incalzava con forza disordinata e parte uccisi dalle proprie armi. I morti furono almeno cinquemila;
Libro XV:153 il resto poi della loro moltitudine si salvò rifugiandosi sotto la protezione delle loro palizzate, ma non ebbero speranza di salvezza per la mancanza di approvvigionamenti, specialmente di acqua.
Libro XV:154 I Giudei li inseguirono, ma non riuscirono a entrare nelle loro trincee, perciò circondarono i loro ripari, e sorvegliarono sia gli ingressi che le uscite, non permettendo né l'ingresso a chi avrebbe potuto aiutarli, né l'uscita a quanti volevano fuggire.
Libro XV:155 - 5. Trovandosi in questa situazione, gli Arabi mandarono una ambasciata a Erode, in primo luogo per discutere una tregua, in secondo luogo,
siccome erano tormentati dalla sete, dichiarandosi pronti ad accettare qualsiasi condizione pur di ottenere, al presente, la sicurezza di uno scampo.
Libro XV:156 Ma egli non accolse gli ambasciatori né accettò il riscatto per i prigionieri, né altra proposta moderata, perché era ferocemente determinato a volere vendetta per le azioni empie da loro commesse (contro i Giudei). Perciò fu per un certo numero di fattori, specialmente la sete, che avanzarono e si consegnarono in loro potere per essere trattati come schiavi.
Libro XV:157 Nello spazio di cinque giorni, il numero di coloro che furono fatti prigionieri in questa maniera fu di quattromila. Nel sesto giorno tutti i restanti decisero di compiere una sortita con le armi contro i loro nemici; scelsero di fare questo tentativo, anche se si esponevano a un disastro, piuttosto che venire eliminati ingloriosamente pochi alla volta.
Libro XV:158 Con tale intenzione uscirono dalle loro palizzate, ma furono incapaci di combattere in quanto, essendo afflitti nel corpo e nell'anima, non avevano alcuna possibilità di combattere con gloria, e perciò giudicarono un guadagno morire e una sfortuna vivere. In quella terribile battaglia caddero circa settemila uomini.
Libro XV:159 Dopo avere sopportato una simile sconfitta persero la presunzione che avevano prima, ammirarono le doti strategiche di Erode, messe in evidenza dalle loro disavventure: perciò si sottomisero a lui e lo proclamarono campione della nazione.
Libro XV:160 E così, considerandosi sufficientemente qualificato ad attribuirsi grandi onori per i suoi successi, (Erode) ritornò a casa dopo avere conquistato nuovo prestigio da questa impresa.
Erode progetta di liberarsi di Ircano
Libro XV:161 - VI, I. - Mentre ogni cosa per lui andava bene sotto ogni aspetto, dato che era in uno stato inaccessibile da ogni lato, sentiva che tutto il suo potere si trovava sotto un minaccioso pericolo per la vittoria di Cesare contro Antonio nella battaglia di Azio.
Libro XV:162 In quel periodo la sua situazione pareva disperata allo stesso Erode, ai nemici di lui e ai suoi amici che gli stavano attorno, parendo
inverosimile che rimanesse impunito data la grande amicizia che lo legava ad Antonio.
Libro XV:163 Gli amici persero ogni speranza che nutrivano in lui, e tutti coloro che gli erano nemici, all'apparenza si mostravano rammaricati, ma in segreto provavano un senso di gioia, prospettandosi un cambiamento in meglio.
Libro XV:164 Lo stesso Erode, vedendo che della stirpe reale restava soltanto Ircano, pensò che ne avrebbe tratto vantaggio a non lasciare che seguitasse a essere un ostacolo; credeva che se fosse sopravvissuto, dopo aver scampato il pericolo, sarebbe stato per lui più sicuro non avere un uomo più degno della regalità di quanto lo fosse lui stesso; per cogliere l'opportunità, attese un periodo che fosse più difficile per lui; se, d'altra parte, egli fosse stato ucciso da Cesare, voleva eliminare, a motivo dell'invidia, il solo uomo che avrebbe potuto succedergli come re.
Libro XV:165 - 2. Mentre i suoi pensieri erano intenti a queste cose, dai suoi oppositori gli fu offerta un'opportunità. A motivo del suo carattere mite Ircano non scelse mai, né prima né dopo, di intromettersi negli affari pubblici, né di tentare rivoluzioni, ma rimase sottomesso alla sua sorte, accontentandosi di ciò che essa disponeva.
Libro XV:166 Alessandra, invece, era aggressiva e sperava ostinatamente in un cambiamento e suggeriva a suo padre che non doveva permettere che quel fuorilegge di Erode si comportasse fino all'ultimo in malo modo verso la famiglia ma provvedesse per tempo ad assicurare le loro speranze future.
Libro XV:167 E gli chiese di scrivere a Malco che aveva la sovranità sugli Arabi, pregandolo di riceverli e guidarli alla salvezza. Perchè, diceva, se essi si ritirano e le cose si mettono in modo sfavorevole per Erode, come appariva verosimile, stante l'inimicizia di Cesare verso di lui, essi sarebbero i soli candidati al regno sia a motivo della loro stirpe sia per la buona disposizione della gente verso di loro.
Libro XV:168 Sebbene lei cercasse di persuaderlo, Ircano respinse le sue argomentazioni. Lei, però, aveva una natura aggressiva e molto femminile, notte e giorno non smetteva e seguitava a parlargli dello stesso argomento e dei piani insidiosi di Erode contro di loro; alla fine egli si persuase a consegnare una lettera a Dositeo, uno dei suoi amici, nella quale si convenne che l'Arabo gli mandasse uomini a cavallo per prenderli e scortarli fino al lago Asfaltite, che si trova a trecento stadi dai confini di Gerusalemme.
Libro XV:169 Aveva fiducia in Dositeo perché era devoto sia lui sia ad Alessandra, e aveva non pochi motivi per essere nemico di Erode, essendo egli congiunto di Giuseppe, che era stato ucciso dal re e fratello di uomini che già prima erano stati assassinati da Antonio a Tiro.
Libro XV:170 Però queste ragioni non indussero Dositeo a essere fedele nel servizio a Ircano, contando sulle speranze di ricompense maggiori dal re che da Ircano, e consegnò la lettera a Erode.
Libro XV:171 Il re gli espresse soddisfazione per la sua lealtà e insistette affinché gli facesse ancora un altro servizio: ripiegare la lettera, sigillarla, e darla a Malco e riportare indietro la sua risposta, poiché era di grande importanza conoscere le intenzioni di Malco.
Libro XV:172 Dositeo compì accuratamente tutto questo. L'Arabo gli rispose che accoglieva sia Ircano sia tutti quelli del suo partito e quanti Giudei simpatizzavano per la sua causa, che avrebbe mandato una forza sufficiente a portarli sani e salvi e che a Ircano non sarebbe mancato nulla di quanto desiderava.
Libro XV:173 Allorché Erode ricevette la lettera, mandò immediatamente a chiamare Ircano e l'interrogò a proposito degli accordi avuti con Malco; e alla sua negazione egli mostrò le lettere al Sinedrio e condannò l'uomo a morte.
Racconto alternativo sulla fine di Ircano
Libro XV:174 - 3. Noi abbiamo scritto queste cose così come si trovano nelle memorie del re Erode. Altri, però, non convengono in questo con noi, perché ritengono che non fu per questo motivo che Erode uccise Ircano, ma piuttosto fece questo dopo avere addotto contro di lui delle accuse inventate con un tipico inganno.
Libro XV:175 Scrivono, infatti, così: una volta, mentre si trovavano a un banchetto, senza che Ircano desse alcun motivo di sospetto, Erode gli pose la domanda se avesse ricevuto qualche lettera da Malco; Ircano ammise di avere ricevuto da lui delle lettere di saluto;
Libro XV:176 gli domandò ancora se avesse ricevuto da lui qualche regalo, l'altro rispose di non avere ricevuto null'altro che quattro animali da cavalcare,
mandatigli da Malco. Erode prese ciò come la prova che aveva ricevuto doni e aveva tradito, e ordinò che l'uomo fosse strangolato.
Libro XV:177 Le congetture addotte per spiegare che la sua fine non era un crimine, sono la moderazione del suo carattere e il fatto che neppure in gioventù aveva dato segni di animo ardito e precipitoso, neppure quando aveva l'autorità regia, anzi aveva lasciato ad Antigono la parte più ampia dell'amministrazione.
Libro XV:178 Inoltre allora aveva più di ottanta anni di età e sapeva che il governo di Erode era sicuro; si aggiunga inoltre che quando aveva passato l'Eufrate lasciando dall'altra parte del fiume quelli che lo onoravano, sapeva di mettersi completamente sotto il suo potere; perciò era molto inverosimile e lontanissimo dalla sua natura che egli macchinasse qualcosa di rivoluzionario. Tali accuse, dunque, erano un pretesto inventato da Erode.
Libro XV:179 - 4. Così Ircano terminò la vita dopo essere passato attraverso molte avventure e aver sperimentato molte sorti, lungo tutto il corso della sua vita. All'inizio del regno di sua madre Alessandra fu sommo sacerdote della nazione giudaica, ufficio che tenne per nove anni.
Libro XV:180 Prese il trono dopo la morte di sua madre, e lo tenne per tre mesi e ne fu rimosso dal fratello Aristobulo; allorché, in seguito, gli fu restituito da Pompeo, ne ebbe tutti gli onori e seguitò a goderli per più di quaranta anni.
Libro XV:181 Ne fu rimosso una seconda volta da Antigono e, mutilato nel corpo, fu preso prigioniero dai Parti; dal loro paese, dopo un po' di tempo, fece ritorno nella sua patria, trattovi dalle speranze riposte in Erode, ma nessuna di esse si avverò in modo conforme alle aspettative, dopo le molte e dolorose vicende della sua vita.
Libro XV:182 Ma la più penosa di tutte le sfortune, come abbiamo detto prima, è quella occorsagli nella sua tarda età: giunse a por fine alla sua vita con una morte indegna di lui. Poiché egli pareva fornito di natura mite e moderata in ogni cosa e aveva governato lasciando la maggior parte degli affari agli amministratori, non si era interessato degli affari generali, né aveva l'abilità di governare un regno. Il fatto che Antipatro ed Erode avanzassero così tanto, lo si deve alla sua dolcezza, e ciò che alla fine egli ebbe a sperimentare dalle loro mani non fu né giusto, né pio.
Erode va a Rodi a incontrare Cesare
Libro XV:183 - 5. Liberatosi di Ircano, Erode accelerò il viaggio da Cesare e, non potendo sperare che la sua causa fosse vista con favore a motivo della sua passata amicizia con Antonio, ebbe il sospetto che Alessandra cogliesse questa opportunità per volgere il popolo contro di lui e mettere in rivolta il regno.
Libro XV:184 Affidò tutti gli affari al fratello Ferora, mise sua madre Cipro, sua sorella e tutti i suoi figli a Masada; lo istruì affinché, qualora udisse su di lui cattive notizie, pigliasse in mano il governo.
Libro XV:185 Quanto a Mariamme, sua moglie, dato che per lei era impossibile vivere nelle stesso luogo della sorella e della madre di lui a causa del dissidio che c'era tra loro, la pose nell'Alessandreion con sua madre Alessandra, e vi lasciò il suo attendente Giuseppe e Soemo l'Itureo, persone che fin dai primi tempi gli furono fedeli; in questa occasione furono lasciati a sorvegliare le donne come una dimostrazione d'amore verso di esse.
Libro XV:186 Anche ad essi furono date istruzioni affinché qualora sentissero qualche cattiva notizia a suo riguardo, subito le mettessero a morte ambedue, e prendessero ogni cosa in loro potere per preservare il regno ai suoi figli, insieme con suo fratello Ferora.
Libro XV:187 - 6. Dopo aver dato tali istruzioni, si affrettò a partire per Rodi a incontrare Cesare. Quando la sua nave giunse nella città, si tolse di capo il diadema, ma non abbandonò null'altro di quanto apparteneva alla sua dignità; e quando giunse (il momento del) l'incontro ebbe licenza di conversare con lui, dimostrò ancora più pienamente la grandezza del suo spirito:
Libro XV:188 non si volse a suppliche, come sarebbe stato naturale nelle circostanze, né esternò alcuna preghiera quasi si riconoscesse colpevole, bensì diede francamente ragione del suo passato e senza presentare alcuna scusa per se stesso.
Libro XV:189 Confessò a Cesare che aveva avuto una grandissima amicizia per Antonio e che aveva fatto quanto era in suo potere per portare nelle sue mani il controllo degli affari. Certo, non aveva preso parte alla sua campagna perché era impegnato dagli Arabi, tuttavia gli aveva mandato denari e grano, sebbene questi fossero un contributo più modesto di quanto avrebbe dovuto fare.
Libro XV:190 Poiché, quando un uomo riconosce di essere amico di un altro ed è consapevole che l'amico è suo benefattore deve prendere parte ai suoi pericoli rischiando con tutto quello che ha, con la vita, personalmente e con le sue sostanze; se forse aveva soddisfatto meno bene al suo debito, almeno sotto un aspetto era consapevole di essersi comportato bene nel non avere abbandonato Antonio dopo la sconfitta nella battaglia di Azio,
Libro XV:191 e nel non avere cambiato le proprie speranze quando la fortuna (di Antonio) stava apertamente cambiando; anzi, egli seguitò a mostrarsi se non un valido compagno di battaglia, almeno un abile consigliere di Antonio, suggerendogli che l'unica via per salvare se stesso senza perdere il suo potere era di uccidere Cleopatra.
Libro XV:192 “Perché, disse, se si fosse sbarazzato di lei, gli sarebbe stato possibile mantenere il suo potere e più facilmente avrebbe trovato il modo di giungere a un'intesa con te invece che mantenersi nemico. Ma egli non prestò attenzione a nessuno di tali suggerimenti, preferendo la sua sconsigliata imprudenza, svantaggioso per sé, utile invece per te.
Libro XV:193 Or, dunque, se tu in collera verso Antonio, condanni anche la mia premura per lui, io non rinnegherò mai quanto ho fatto fin qui, né mi vergogno di parlare apertamente della mia lealtà verso di lui. Se tu non tieni conto delle apparenze, e guardi come io mi comporto verso i miei benefattori, e che tipo di amico io sia, con l'esperienza di quanto è passato potrai conoscermi appieno: poiché col solo cambiamento del nome avrai in me l'esempio del vero ideale di una stabile amicizia che avrà una approvazione meno piena”.
Cesare onora Erode, visita la Giudea
e va in Egitto
Libro XV:194 - 7. Così dicendo, mostrò la libertà del suo spirito e si guadagnò l'affetto di Cesare, uomo onorevole e splendido, cosicché gli atti che avevano suscitato accuse addotte contro Erode, ora si mutarono in raccomandazioni che meritarono la benevolenza di Cesare verso di lui.
Libro XV:195 Egli gli rimise in capo il diadema e lo spinse a dimostrarsi verso di lui non meno amico di quanto, in passato, lo era stato di Antonio. Gli concesse ogni genere di onori e aggiunse che Quinto Didio aveva scritto che Erode lo aveva aiutato premurosamente nell'affare dei gladiatori.
Libro XV:196 Avendo avuto una accoglienza così favorevole e vedendo il suo trono reintegrato più stabile che mai, al di là di ogni attesa, per concessione di Cesare e decreto dei Romani, che Cesare gli aveva ottenuto nell'interesse della sua sicurezza, egli lo scortò sulla via verso l'Egitto, dando a lui e ai suoi amici i doni più preziosi che poteva e facendo mostra della più grande generosità.
Libro XV:197 Lo pregò anche per Alexas, uno degli intimi amici di Antonio, affinché non fosse condannato alla pena capitale, ma tale preghiera non fu accolta perché Cesare era già vincolato da un giuramento.
Libro XV:198 Poi ritornò nella Giudea con onori ancora maggiori e libertà d'azione, tanto da lasciare storditi quanti si aspettavano l'opposto, come se, con il favore di Dio, egli scampasse sempre ai pericoli in una maniera sempre più brillante. E, senza indugio, preparò l'accoglienza a Cesare in procinto di passare dalla Siria per invadere l'Egitto.
Libro XV:199 Quando Cesare arrivò, Erode lo accolse a Tolemaide con tutta la magnificenza regale, e ospitò il suo esercito dando il benvenuto con doni e abbondanza di provvigioni. Egli fu annoverato tra i più leali amici di Cesare, e cavalcava con lui mentre passava in rassegna le truppe e alloggiò sia lui che i suoi amici in centocinquanta appartamenti, allestiti con ricca magnificenza per il loro conforto.
Libro XV:200 Quando attraversavano il deserto li rifornì con abbondanza di ogni cosa necessaria, sicché non mancarono né di vino né di acqua che per i soldati era più necessaria. A Cesare personalmente, Erode fece un regalo di ottocento talenti dando a tutti l'impressione di fare mostra che il grande e splendido servizio da lui offerto era più grande e splendido di quanto il suo regno poteva permettersi.
Libro XV:201 Questo fece sì che Cesare avesse una convinzione ancora più grande della sua lealtà e devozione; e ciò che portò ad accrescere ancora di più il credito di Erode fu il fatto di avere adeguato la sua generosità ai bisogni del momento. E quando ritornò dall'Egitto non fu meno pronto a servire di quanto lo era stato nella prima occasione.
La famiglia di Erode al suo ritorno
Libro XV:202 - VII, I. - Ma, allorché ritornò al suo regno, trovò la sua famiglia sconvolta: sia la moglie Mariamme che la madre di lei, Alessandra, arrabbiate.
Libro XV:203 Poiché erano persuase, come era naturale sospettare, di essere state sistemate in quella fortezza non per la incolumità fisica delle loro persone, ma per essere mantenute in custodia e senza alcuna autorità sugli altri o su se stesse, ed erano arrabbiate.
Libro XV:204 Mariamme considerava l'amore del re null'altro che un pretesto e una finzione per il proprio interesse; si tormentava perché, a causa di lui, essa, non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivere, anche se lui fosse andato incontro a grandi guai; ricordava le istruzioni che erano state date a Giuseppe, così ora aveva cominciato ad accattivarsi il favore delle sue guardie, specialmente di Soemo, al quale sapeva di essere stata affidata.
Libro XV:205 Sulle prime, Soemo fu fedele (al re) e ottemperava a tutte le istruzioni dategli da Erode; ma in seguito, persistendo le donne con promesse e regali, gradatamente si diede per vinto, e finalmente svelò tutte le istruzioni del re, soprattutto perché non si aspettava che egli ritornasse con la stessa autorità.
Libro XV:206 Ad agire così era indotto dalla persuasione nella probabilità che sarebbe sfuggito ai pericoli che gli venivano da parte del re e avrebbe fatto anche molto piacere alle donne, le quali, com'era naturale supporlo, non solo non avrebbero perso la loro presente posizione, ma l'avrebbero migliorata, o diventando esse stesse sovrane, o avvicinandosi ancor più al sovrano.
Libro XV:207 Né la sua speranza era diminuita dal pensiero che anche se Erode fosse ritornato dopo avere sistemato tutto secondo i suoi piani, non sarebbe stato capace di contrastare alcuno dei desideri della moglie, poiché Soemo sapeva bene che l'amore del re per Mariamme era al di là di ogni ragione. Queste furono le considerazioni che lo indussero a svelare le istruzioni.
Libro XV:208 Mariamme però lo ascoltò con risentimento, meravigliandosi come non avessero mai fine i pericoli che da Erode la sovrastavano, e nel suo risentimento supplicava che egli non ottenesse (da Cesare) alcun trattamento favorevole, perché la sua vita con lui sarebbe stata intollerabile, qualora egli avesse avuto successo. Più tardi lei palesò questo chiaramente, giacché non gli nascondeva nessuno dei suoi più intimi sentimenti.
Libro XV:209 - 2 Ora, quando Erode fece ritorno dal viaggio per mare, dopo avere ottenuto un successo superiore a quanto sperava: com'era naturale, portò anzitutto la notizia a sua moglie, e, a motivo del suo amore per lei e per l'intimità che c'era tra loro, la scelse tra tutti gli altri per abbracciarla.
Libro XV:210 Ma quando le disse le buone notizie, invece di rallegrarsene, lei apparve più abbattuta che felice, e le fu impossibile nascondere i propri sentimenti. Non solo, ma a motivo della disistima (che aveva per lui) e della superiorità dei propri natali, al suo abbraccio lei mandò un sospiro di disapprovazione, e diede chiarissimi segni che era più dispiaciuta che compiaciuta dei racconti che faceva, tanto che (il dispiacere di lei) non fu un sospetto, ma una constatazione ovvia che rattristò profondamente Erode.
Libro XV:211 Era dispiaciuto nel constatare che l'odio irrazionale della moglie era palese e il fatto lo rattristava; ma, incapace di controllare il proprio amore, quando era tranquillo e quando sdegnato, sempre incostante tra i due, passava da un estremo all'altro e in ogni caso (restava) sempre sospeso tra i due.
Libro XV:212 E così era stretto tra odio e amore, e spesso quando stava per punire il suo orgoglio, siccome lei occupava ancora una parte dei suoi sentimenti, non sentiva la forza di disfarsi della donna. In conclusione, l'avrebbe punita volentieri, ma temeva che, con la morte di lei, involontariamente avrebbe inflitto una punizione più grande (a se stesso) che a lei.
Madre e sorella di Erode,
e moglie Mariamme
Libro XV:213 - 3. Quando sua sorella e sua madre vennero a conoscere le sue disposizioni a proposito di Mariamme, pensarono di avere una eccellente occasione per soddisfare il loro odio contro di lei; provocarono la collera di Erode contro di lei, diffondendo di continuo serie calunnie che avrebbero potuto fare nascere in lui odio e gelosia allo stesso tempo.
Libro XV:214 Egli malvolentieri sentiva tali asserzioni, e tuttavia non aveva coraggio sufficiente per procedere contro sua moglie, come se prestasse loro fede. Lui però diventava sempre più ostile verso di lei e ognuno dei due era irritato verso l'altro: lei, da una parte, non nascondeva i suoi sentimenti verso di lui ed egli, d'altra parte, cambiava continuamente dall'amore alla rabbia.
Libro XV:215 Ma presto sarebbe accaduto un danno irreparabile per lei, se proprio allora non fossero giunte notizie che Cesare aveva vinto la guerra e con la morte di Antonio e di Cleopatra, era il padrone dell'Egitto. Erode allora si affrettò a incontrare Cesare e lasciò gli affari privati com'erano.
Ulteriori concessioni di Cesare e
inasprimenti familiari
Libro XV:216 Mentre il re se ne stava andando, Mariamme portò da lui Soemo e riconobbe la propria gratitudine per la cura che aveva avuto di lei, e domandò che dal re gli fosse affidato il governo di un distretto. Questo ufficio Soemo l'ottenne.
Libro XV:217 Quando Erode giunse in Egitto, prese a discutere degli affari con Cesare con una certa libertà come un vecchio amico, e gli furono concessi favori molto grandi. Per esempio, Cesare gli fece dono dei quattrocento Galli che erano stati guardie del corpo di Cleopatra, e gli restituì il territorio che gli era stato tolto da lei; aggiunse inoltre al suo regno Gadara, Hippo e Samaria, e, sulla costa Gaza, Antedone, Joppa e Torre di Stratone.
Libro XV:218 - 4. Ottenuti questi possedimenti, Erode divenne ancora più celebre; scortò Cesare sulla via di Antiochia e in seguito ritornò a casa. Ma quanto più credeva di aumentare il suo successo negli affari esterni, tanto più diminuiva negli affari interni, in special modo nel suo matrimonio, nel quale una volta pareva così fortunato, poiché l'amore che sentiva per Mariamme era non meno intenso di quelli che la storia ha reso giustamente celebri.
Libro XV:219 Lei era prudente sotto ogni aspetto e fedele a lui, aveva tuttavia nella sua natura qualcosa di femminile e di crudele, e trasse in pieno profitto dell'asservimento di lui alla passione. Dato che lei non teneva conto che era suddita del re e che lui era il suo padrone, come sarebbe stato in circostanze normali, frequentemente lei lo trattava con arroganza, mentre lui pigliava alla leggera, sopportava con pazienza e si controllava.
Libro XV:220 Ma lei apertamente si burlava sia della madre di lui sia della sorella per i loro bassi natali e usava (verso loro) un linguaggio oltraggioso, tanto che per un certo tempo vi furono risse e odio implacabile tra donne, ma in questo particolare momento si spargevano calunnie di ancora maggiore rilievo.
Libro XV:221 Queste diffidenze che si alimentavano ogni giorno durarono lo spazio di un anno dal tempo in cui Erode ritornò dalla visita a Cesare. Finalmente la tempesta tenuta a lungo sotto controllo scoppiò: e questa ne fu l'occasione.
Libro XV:222 Un pomeriggio il re si pose a riposare e per la passione che sempre aveva per lei, mandò a chiamare Mariamme; lei venne, ma a dispetto della sua insistenza, non si adagiò (con lui). Anzi, gli espresse tutto il suo disprezzo perché le aveva ucciso il padre e il fratello.
Libro XV:223 Inasprito da tale villania e arroganza, egli stava per prendere qualche risoluzione precipitosa quando Salome, sorella del re, si rese conto quanto fosse agitato, mandò il suo maggiordomo che già da tempo era stato preparato per questo, con l'ordine di dire che Mariamme aveva cercato di persuaderlo ad aiutarla a preparare un filtro per il re.
Libro XV:224 (Lei gli disse) che qualora il re fosse turbato e domandasse che cosa era (lui gli rispondesse di non saperlo), perché Mariamme aveva versato la sostanza medicinale e a lui era stato (soltanto) domandato di servirla. Ma (lei aggiunse) qualora (Erode) dopo il filtro d'amore non si fosse eccitato di lasciare pure cadere il contenuto, giacché per lui non vi sarà alcun danno. Avendogli dato prima queste istruzioni, in quell'occasione lei lo mandò a parlargli (a Erode).
Libro XV:225 Egli andò, obbediente, presto e disse che Mariamme prima gli aveva dato dei regali e poi aveva cercato di convincerlo a dare il filtro d'amore al re. Allorché Erode, dopo di questo, mostrò grande eccitazione e domandò che filtro d'amore fosse, il maggiordomo rispose che era una sostanza medicinale datagli da Mariamme e che lui non ne conosceva le proprietà e per tale motivo ne aveva informato Erode, avendo deciso che per tutti e due era la via più sicura da seguire sia per se stesso che per il re.
Libro XV:226 Erode, già da prima mal disposto e ancor più provocato dalla sostanza medicinale, sentite queste parole, ne volle sapere di più e prese a torturare l'eunuco più fedele che aveva Mariamme, poiché egli sapeva che per lei sarebbe stato impossibile fare qualsiasi cosa grande o piccola senza di lui.
Libro XV:227 Ma anche costretto dal più duro tormento, l'uomo non poteva dire nulla in merito alla materia sulla quale era interrogato sotto tortura. Tuttavia disse che l'odio della moglie del re aveva origine dalle cose che Soemo le aveva detto;
Libro XV:228 e mentre ancora parlava, il re alzò la voce gridando che Soemo, che era sempre stato fedelissimo a lui e al regno e non avrebbe mai dovuto tradire le sue istruzioni, se non avesse spinto troppo in là la sua intimità con Mariamme.
Libro XV:229 Perciò diede subito ordine che Soemo fosse arrestato e mandato a morte, mentre a sua moglie concesse il diritto di un processo. Radunati coloro che erano a lui più vicini, presentò un'accusa ben studiata contro di lei a proposito di filtri d'amore e sostanze medicinali accusandola di averli preparati. Siccome il suo dire era senza freni e troppo collerico per un giudizio (sereno), i presenti compresero lo stato in cui si trovava e in fine la condannarono a morte.
Libro XV:230 Ma dopo la sentenza, sia a lui sia ad alcuni dei presenti, parve bene di non procedere in modo troppo affrettato alla esecuzione in una delle fortezze del regno.
Libro XV:231 Salome però e le sue amiche si adoperavano in ogni modo affinché la povera donna fosse eliminata al più presto: e la loro sentenza prevalse sul re consigliandolo a prendere precauzioni contro i disordini popolari che avrebbero potuto sorgere qualora le fosse stato concesso di vivere. E in questo modo Mariamme fu condotta a morire
Vile comportamento di Alessandra,
serena nobiltà di Mariamme
Libro XV:232 - 5. Ora Alessandra, considerata la situazione e avendo ben poca speranza di sfuggire a un trattamento simile da parte di Erode, cambiò la sua attitudine in una maniera inverosimile, opposta alla sua antica arroganza.
Libro XV:233 Desiderosa di mostrarsi aliena dalle cose di cui era accusata Mariamme, balzò su gridando in mezzo al popolo per essere udita da tutti, rinfacciando a sua figlia di essere stata viziosa e ingrata verso il marito; diceva che lei aveva avuto il castigo meritato per la sua condotta temeraria perché non aveva contraccambiato in maniera adeguata il suo benefattore per tutti i benefici ricevuti.
Libro XV:234 Mentre agiva in modo così indecoroso e osava persino afferrarla (Mariamme) per i capelli, incorse, naturalmente, nella decisa disapprovazione degli altri per la sua sconveniente doppiezza.
Libro XV:235 Ciò fu particolarmente evidente nei confronti della stessa condannata, poiché non pronunciò una sola parola, né mostrò alcun turbamento alla vista del disgustoso comportamento di sua madre, ma nella sua grandezza di
spirito dimostrava chiaramente di essere angosciata per il suo comportamento così evidentemente vergognoso.
Libro XV:236 Lei (Mariamme) almeno andò alla morte calma, intrepida, senza cambiare colore, e fino al suo ultimo momento diede, a quanti la guardavano, chiarissime prove della sua nobile discendenza.
Libro XV:237 - 6 Così lei morì, donna eccellente per moderazione e magna-nimità, ma priva di ragionevolezza, e di natura troppo litigiosa. Quanto alla bellezza del corpo e alla nobiltà di comportamenti in presenza di altri, lei era molto al di sopra dei suoi contemporanei più di quanto si possa dire.
Libro XV:238 La motivazione del suo insuccesso stava in questo: piaceva al re e conduceva con lui una piacevole vita; costantemente corteggiata da lui a motivo del suo amore, non si aspettava alcun trattamento severo e mantenne eccessiva libertà di linguaggio.
Libro XV:239 Era anche angosciata per quanto era accaduto ai suoi parenti, trovava difficoltà a parlare (al re) di tutti i suoi sentimenti e in fine incorse nella inimicizia della madre e della sorella del re e pure in quella di lui, sebbene egli fosse l'unica persona dalla quale, erroneamente, non si aspettava di dover subire alcun danno.
Erode dopo la condanna di Mariamme
Libro XV:240 - 7 Una volta che lei fu eliminata, il desiderio del re si accese ancora più forte, perché tale era stato anche prima, come abbiamo riferito. Poiché il suo amore per lei non era privo di passione, né derivava da una lunga convivenza, ma fin dall'inizio era sorto con grande veemenza e neppure la libertà della coabitazione frenò la sua continua crescita.
Libro XV:241 Ma ora, più che mai, pareva preda di essa, quasi si trattasse di una specie di punizione divina per la morte di Mariamme. Frequentemente si sentiva sulla sua bocca il nome di lei, e spesso si udivano fortissimi lamenti; fantasticava ogni genere di distrazioni possibili, si abbandonò a banchetti e gozzoviglie, ma nulla di tutto ciò lo sollevava.
Libro XV:242 Trascurava l'amministrazione del regno ed era così sopraffatto dalla passione, che ordinò anche ai suoi servi che chiamassero Mariamme, come se fosse ancora viva e capace di prestare loro attenzione.
Libro XV:243 Mentre si trovava in tale stato, sopravvenne un morbo pestilenziale che colpì gran parte del popolo e anche dei suoi amici più onorati; e ciò fece sorgere in tutti il sospetto che provenisse da Dio e si trattasse dell'effetto della Sua collera per l'iniquità perpetrata verso Mariamme.
Libro XV:244 E questo, pertanto, accrebbe ancor più l'affanno del re; finalmente si ritirò nel deserto ove la scusa della caccia lo sollevò dalla sua sofferenza; ma questo non durò per molti giorni perché cadde preda di un grave morbo.
Libro XV:245 Si trattava di una infiammazione dolorosa alla cervice con perdita temporanea della coscienza e nessuno dei rimedi provati gli era di giovamento: al contrario, l'effetto era opposto; in fine giunse al punto in cui la sua vita era disperata.
Libro XV:246 Tutti i medici che gli stavano intorno, parte perché il morbo era insensibile a ogni medicina che gli somministravano, parte perché il re non era in condizione di seguire un regime diverso da quello al quale lo obbligava il suo morbo, giudicarono che il meglio fosse assecondare ogni suo desiderio, lasciando alla Fortuna la tenue speranza della sua guarigione, che dipendeva dalla sua (libera) dieta. Quando soffriva di questo morbo si trovava in Samaria, detta (in seguito) Sebaste.
Intrighi di Alessandra e sua condanna
Libro XV:247 - 8 Allorché Alessandra, che dimorava a Gerusalemme, seppe di questa condizione, intraprese ogni sforzo per prendere il controllo dei luoghi fortificati della città.
Libro XV:248 Questi erano due: uno (guardava) la stessa città, l'altro il tempio. Chiunque fosse padrone di questi, aveva in suo potere tutta intera la nazione, perché non si potevano offrire sacrifici senza (il controllo) di questi luoghi e per qualsiasi Giudeo era impossibile non offrirli, perché essi sono pronti a dare la propria vita piuttosto che abbandonare il culto che sogliono offrire a Dio.
Libro XV:249 Alessandra, dunque, ne parlò con i custodi di queste difese, affermando che essi dovevano consegnarle a lei e ai figli di Erode; in caso contrario, alla morte di Erode, qualcuno se ne sarebbe impadronito prima di
loro; e d'altra parte, qualora egli fosse guarito, nessuno le avrebbe custodite con maggiore sicurezza dei suoi parenti prossimi.
Libro XV:250 Essi ascoltarono queste parole di lei senza alcuna simpatia. Sebbene, infatti, prima di questo fossero stati fedeli (a Erode), ora seguitavano ad esserlo ancora di più perché odiavano Alessandra e perché giudicavano empio dare Erode come perso, quando era ancora vivo. Erano, infatti, vecchi amici del re: uno si chiamava Achiabo ed era suo cugino.
Libro XV:251 Perciò inviarono qualcuno a informarlo delle intenzioni di Alessandra; ed egli, senza indugio comandò che fosse messa a morte. Riavutosi a stento dal lungo travaglio del morbo, era di pessimo umore e si trovava dolorante nell'animo e nel corpo e trovava ovunque manchevolezza, pronto a servirsi di qualsiasi pretesto per punire quanti gli capitavano sotto mano.
Libro XV:252 Così fece uccidere i suoi più stretti amici, Costobaro, Lisimaco, Antipatro, detto Gadia, e anche Dositeo per il motivo seguente.
Costobaro, Cleopatra, i figli di Baba, Erode
Libro XV:253 - 9 Costobaro era di origine idumea e uno dei primi (quanto a prestigio); i suoi antenati erano stati sacerdoti di Koze, che dagli Idumei era creduto un dio.
Libro XV:254 In seguito Ircano aveva mutato il loro modo di vivere, facendo loro adottare i costumi e le leggi dei Giudei. Quando Erode assunse il potere regale, designò Costobaro governatore della Idumea e di Gaza, gli diede (in moglie) sua sorella Salome, dopo avere ucciso Giuseppe, suo primo marito, come abbiamo riferito.
Libro XV:255 Costobaro accolse con gioia questi favori, che erano al di là di ogni sua aspettativa e, innalzato al di sopra della sua fortuna, poco alla volta eccedette al di là di ogni limite; ritenne che per lui non fosse giusto eseguire gli ordini di Erode, che era il suo comandante o che per gli Idumei (non fosse giusto) adottare i costumi dei Giudei ed essere a loro soggetti.
Libro XV:256 E così inviò (legati) a Cleopatra dicendo che l'Idumea era sempre appartenuta ai suoi antenati e perciò era giusto che lei chiedesse ad Antonio questa regione; disse che egli stesso era pronto a trasferire a lei la sua lealtà.
Libro XV:257 Fece questo non perché gli piacesse andare sotto il dominio di Cleopatra, ma perché pensava che, se avesse sottratto a Erode la parte più vasta (del suo potere), per lui sarebbe stato un affare da poco diventare padrone della nazione idumea e raggiungere traguardi più grandi. Non poneva limiti alle sue speranze e aveva per questo dei buoni motivi: cioè, sia la nascita, sia la ricchezza acquisita con la continua e spudorata ricerca di vergognosi profitti, e non era poco quello che egli aveva in mente.
Libro XV:258 Per questo motivo Cleopatra chiese ad Antonio la regione, ma le fu negata. Quando tali cose furono riferite a Erode, questi era pronto ad ammazzare Costobaro; per la supplica della sorella e della madre, gli concesse la vita e il perdono; ma da quel momento lo guardò con sospetto per l'attentato compiuto.
Libro XV:259 - 10. Qualche tempo dopo Salome ebbe occasione di scontro con Costobaro e subito gli inviò un documento di ripudio sciogliendo così il matrimonio, che non era conforme alla legge giudaica. Perché presso di noi è permesso fare questo (soltanto) all'uomo e neppure a una donna divorziata è concesso di sposarsi di nuovo di sua propria iniziativa senza l'assenso del primo marito.
Libro XV:260 Tuttavia, Salome non scelse di seguire la legge del suo paese, ma agì di sua propria autorità e ripudiò il suo matrimonio dicendo a suo fratello Erode che si era separata da suo marito per lealtà verso lo stesso Erode; perché, affermava, era venuta a sapere che suo marito insieme ad Antipatro, Lisimaco e Dositeo progettavano una rivolta. Come prova delle sue accuse lei adduceva il fatto che i figli di Baba da dodici anni erano tenuti in salvo da Costobaro: ed era realmente così.
Libro XV:261 Questa notizia fu accolta con meraviglia dal re, gli fece un'impressione profonda e rimase tanto più stupito quanto era (una notizia) inaspettata. Quanto ai figli di Baba, infatti, egli aveva precedentemente cercato di compiere dei passi contro di loro, perché da sempre tenevano un comportamento a lui contrario, ma ora da molto tempo erano completamente usciti dalla sua memoria.
Libro XV:262 La sua inimicizia e l'odio verso di loro ebbe origine nelle seguenti circostanze. Quando Antigono era re, le forze di Erode assediavano la città di Gerusalemme e sotto la spinta delle miserie che colpivano gli assediati, molti di questi ricorrevano per aiuto a Erode e ponevano in lui le proprie speranze.
Libro XV:263 Ma i figli di Baba che godevano di un'alta posizione e avevano un grande influsso sulle masse, restarono leali ad Antigono, parlavano sempre male di Erode ed esortavano il popolo a mantenersi dalla parte del re il cui potere veniva dalla nascita. Tale era la politica seguita da questi uomini, pensando che ciò fosse a loro vantaggio.
Libro XV:264 Dopo la presa della città, quando Erode controllava ogni cosa, Costobaro aveva il compito di chiudere le uscite e custodire la città per impedire la fuga dei cittadini che erano in debito, o seguivano una politica di opposizione verso il re; siccome Costobaro sapeva che i figli di Baba erano stimati e onorati da tutto il popolo, e pensando che, salvandoli, avrebbe avuto parte importante a ogni cambiamento di governo, li allontanò dal pericolo e li nascose nella sua propria regione.
Libro XV:265 (Dato poi che il sospetto della verità aveva fatto breccia nella mente del re), egli rassicurò Erode con giuramenti che non sapeva assolutamente nulla di quegli uomini e così lo liberò dai suoi sospetti. E anche quando, più tardi, il re promise una ricompensa per ogni informazione su di loro e fece compiere ogni genere di ricerche, egli non si decise a confessare, poiché era convinto che, avendo negato una volta (di conoscerli) non sarebbe rimasto impunito se fossero stati trovati ed era obbligato a tenerli nascosti non solo per lealtà (verso di loro), ma anche per necessità.
Libro XV:266 Quando il re ne fu informato dalla sorella, mandò sul luogo nel quale, come gli era stato riferito, essi si trovavano e fece uccidere questi uomini e coloro che con loro erano accusati, sicché della famiglia di Ircano non rimase vivo nessuno e il regno passò completamente in mano a Erode, non essendovi alcuno di alto grado che osasse sbarrare la strada alle sue azioni illegali.
Erode introduce giochi e pratiche “straniere”
aliene alla vita giudaica
Libro XV:267 - VIII, I. - Per questo motivo (Erode) andò ancora più avanti allontanandosi dagli usi nativi e corrompendo gradatamente con pratiche straniere, antichi e inviolabili statuti; il che fu per noi di nocumento notevole, anche per l'epoca posteriore, perché si trascurarono cose che infondevano la pietà nelle masse.
Libro XV:268 In primo luogo introdusse i combattimenti atletici ogni cinque anni in onore di Cesare; edificò un teatro a Gerusalemme e, in seguito, un
amplissimo anfiteatro in pianura: ambedue ragguardevoli per magnificenza, ma estranei alle usanze giudaiche, perché l'uso di simili edifici e la manifestazione di simili spettacoli non fanno parte della tradizione (giudaica).
Libro XV:269 Egli, tuttavia, celebrò la festa quinquennale in modo molto solenne, mandandone notizia ai popoli vicini e invitando partecipanti da tutta la nazione. Atleti e ogni classe di lottatori erano invitati da ogni paese attratti dalla speranza di vincere i premi offerti e dalla gloria della vittoria; e vi si radunarono i più valenti in campi diversi.
Libro XV:270 Egli, infatti, assegnò grandi premi non soltanto ai vincitori in gare ginniche, ma anche a quanti erano impegnati nella musica e ai cosiddetti timelici. E faceva ogni sforzo per avere alle gare le persone più famose.
Libro XV:271 Offriva anche doni considerevoli ai guidatori di cocchi a quattro e a due cavalli e a coloro che montavano cavalli da corsa. Qualsiasi sforzo costoso o magnifico compiuto da altri, veniva imitato da Erode nella sua ambizione di vedere il suo spettacolo diventare famoso.
Libro XV:272 Tutt'intorno al teatro correvano iscrizioni in onore di Cesare e trofei delle nazioni da lui vinte in guerra, tutto questo era fatto in oro puro e in argento.
Libro XV:273 Quanto agli addobbi, non vi erano drappi preziosi o gemme di valore tanto raro che non fossero esibiti negli spettacoli offerti. C'era pure una provvista di fiere: vi erano radunati per lui una grande quantità di leoni e altri animali, che rappresentavano o una forza straordinaria o delle specie molto rare.
Libro XV:274 Quando iniziò l'uso di contrapporle l'una contro l'altra o di condannare uomini a combattere contro di esse, gli stranieri restavano attoniti sia per la spesa, sia, allo stesso tempo, attratti dal pericoloso spettacolo, ma per i nativi significava una chiara rottura degli usi che finora erano stati custoditi con onore.
Libro XV:275 Poiché appariva una lampante mancanza di pietà gettare uomini alle fiere per il piacere di altri uomini che facevano da spettatori e appariva una ulteriore empietà mutare il loro consolidato modo di vivere con pratiche straniere.
Libro XV:276 Quello che maggiormente li infastidiva erano i trofei, perché credevano che questi fossero immagini coperte da armi, il che era contrario alle loro usanze nazionali, ed erano straordinariamente rabbiosi.
Erode rivela che cosa sono i trofei
Libro XV:277 - 2. A Erode non sfuggì il fatto che i Giudei erano profondamente turbati di ciò, e, siccome riteneva altamente inopportuno ricorrere alla forza contro di essi, ne parlò con alcuni di costoro rassicurandoli, nel tentativo di rimuovere i loro scrupoli religiosi. Tuttavia non ebbe successo, perché nel loro malcontento in merito alle offese delle quali lo ritenevano colpevole, gridarono all'unisono che, nonostante tutto, il resto si poteva sopportare, ma essi non avrebbero sopportato che si introducessero nella città immagini di uomini, intendendo con ciò i trofei, cosa per loro contraria agli usi nazionali.
Libro XV:278 Erode, allora, vedendo quanto fossero turbati e che non era facile eluderli, a meno che avessero qualche rassicurazione, radunò i più eminenti tra costoro e li condusse al teatro, mostrò loro i trofei e chiese che cosa pensavano che fossero.
Libro XV:279 E al loro grido: “Immagini di uomini!”, diede ordine che si scostassero gli ornamenti che li coprivano, e mostrò loro i nudi legni. Non appena i trofei furono svestiti, divennero oggetto di risa; ciò che maggiormente contribuì alla confusione di questi uomini fu il fatto che fino ad allora guardavano gli ornamenti come maschere delle immagini.
Strascico tra i fanatici
Libro XV:280 - 3. Calmata in tal modo la folla e spenta la collera alla quale li portava lo sdegno, la maggioranza si attenne ai cambiamenti avvenuti e non era più in collera.
Libro XV:281 Ma alcuni persistettero nell'avversione verso tali pratiche, le considerarono un allontanamento dalla tradizione e ritennero che la violazione degli usi del loro paese sarebbe stata l'inizio di grandi mali, giudicarono un sacro dovere andare incontro a qualsiasi rischio piuttosto che apparire indifferenti alle violente innovazioni di Erode di pratiche non concordi con l'uso, con le quali si stravolgeva totalmente la loro norma di vita e con un comportamento che in apparenza acconsentiva al re ma che in realtà acconsentiva al nemico di tutta la nazione.
Libro XV:282 Per tale motivo dieci cittadini cospirarono giurando di affrontare qualsiasi pericolo e nascosero i pugnali sotto le loro vesti...
Libro XV:283 Tra costoro si trovava uno che aveva perso l'uso degli occhi, ma si era aggregato ai cospiratori, sdegnato di quanto aveva udito; sebbene fosse incapace di compiere qualcosa di efficace nella loro impresa, si teneva pronto a sostenere qualunque male serio in cui loro fossero incorsi e così diede non poco incoraggiamento ai cospiratori.
Reazione di una parte del popolo
Libro XV:284 - 4. Presa questa decisione si recavano spesso al teatro, come erano d'accordo. Speravano che anche lo stesso Erode non sfuggisse, qualora piombassero su di lui in modo improvviso; pensavano però che anche se non avessero colpito Erode, almeno avrebbero ucciso molti di quelli intorno a lui. A loro pareva che anche se fossero morti per questo, avrebbero già ottenuto abbastanza, avendo fatto capire al popolo e al re gli oltraggi che, secondo loro, stavano commettendo.
Libro XV:285 Ma uno di coloro che Erode aveva incaricato di investigare e di riferire su tali faccende, scoprì tutta la trama e la comunicò al re mentre era in procinto di entrare nel teatro.
Libro XV:286 Egli allora, considerando l'odio che molti del popolo nutrivano per lui, e ben sapendo i tumulti che invariabilmente seguivano ogni incidente, ritenne che il rapporto non fosse improbabile, si ritirò nel palazzo e chiamò uno ad uno gli accusati.
Libro XV:287 Sorpresi dai servi piombati su di loro, si accorsero di non poter sfuggire, tuttavia affrontarono con dignità l'inevitabile fine della loro vita non negando il loro proposito.
Libro XV:288 Confessarono il loro atto senza alcuna vergogna, non lo negarono, e mostrarono i loro pugnali già pronti, confessarono che la loro congiura era stata ordita con un pio e nobile intento, non per amore di guadagno né per il proprio interesse, ma, e questo era molto più importante, per amore delle usanze comuni, quello che ogni uomo ha il dovere o di custodire o per esse di morire.
Libro XV:289 Essi parlarono con un tono molto franco della congiura intrapresa; e così furono portati via dagli uomini del re, che li circondavano, dopo avere sopportato ogni genere di tormenti, furono uccisi. Non molto tempo dopo, il delatore fu preso da persone che l'odiavano e non soltanto lo ammazzarono, ma lo squartarono pezzo per pezzo e lo gettarono ai cani.
Libro XV:290 Molti cittadini furono testimoni di questo atto, ma nessuno ne informò le autorità fino a che Erode fece complesse e ostinate ricerche, alcune donne sotto la tortura confessarono di avere visto l'azione commessa; ed egli ne punì gli autori e penalizzò anche le famiglie a motivo della loro temerarietà.
Libro XV:291 Ma la costanza del popolo e la sua imperterrita lealtà alle leggi fecero sì che Erode si sentisse inquieto fino a quando non prese misure per una maggiore sicurezza. Fu così che decise di accerchiare il popolo da ogni parte fino a che la scontentezza divenne ribellione aperta.
Costruzioni di Erode nella Samaria
e regioni vicine
Libro XV:292 - 5 Quando la città si fece sicura per lui (per opere) nel palazzo nel quale viveva, e il tempio per la fortezza chiamata Antonia che egli stesso eresse, pensò di costruire un terzo bastione in Samaria che, contro tutto il popolo chiamò Sebaste,
Libro XV:293 pensando che questo luogo gli avrebbe offerto nella regione non meno sicurezza (degli altri) visto che distava da Gerusalemme soltanto il cammino di un giorno e sarebbe stato ugualmente utile per il controllo dello stato di cose nella città e nella regione. Costruì una fortezza per tutta la nazione nel luogo che prima si chiamava Torre di Stratone e da lui fu chiamata Cesarea.
Libro XV:294 Nella grande pianura fondò una località per la sua cavalleria scelta alla quale diede alloggiamenti: uno nel luogo detto Gaba, in Galilea, e (l'altro), Esebonite, in Perea.
Libro XV:295 Teneva queste misure di sicurezza di tempo in tempo come stratagemma e dispose guarnigioni per tutta la regione per minimizzare l'eventualità di incorrere in sommosse come continuamente accadeva quando si dava anche il più leggero incitamento e per trattenere (il popolo) dall'iniziare ogni sommossa senza che egli ne fosse messo al corrente da qualcuno dei suoi
uomini che stazionavano in mezzo a loro, sicché in ogni momento fosse in grado di scoprirla e prevenirla.
Libro XV:296 In questo tempo desiderava fortificare Samaria, e si preoccupava di sistemare in essa quanti avevano combattuto come suoi alleati e molte delle popolazioni vicine. Fece questo per la sua ambizione di erigere con la sua azione una nuova (città), perché fino allora essa non era compresa tra le città famose; e ancor più fece del suo piano ambizioso una fonte di sicurezza per se stesso. Cambiò pure il nome della città chiamandola Sebaste e il territorio adiacente, che era il migliore della regione, lo divise tra i suoi abitanti, affinché potessero godere di prosperità non appena vi si insediassero tutti insieme.
Libro XV:297 Cinse anche la città di una forte muraglia valendosi dei dislivelli come mezzi di fortificazione; e vi incluse anche un'area che non aveva la stessa dimensione della prima città, sicché ebbe un'ampiezza non inferiore alle più illustri città poiché ebbe (una circonferenza) di venti stadi.
Libro XV:298 Dentro di essa, al centro, consacrò un recinto (della circonferenza) di uno stadio e mezzo, e nel luogo perfettamente ripulito, eresse un tempio che per dimensioni e bellezza era tra i più rinomati; abbellì le varie parti della città con una varietà di strade e, considerata la necessità della sicurezza, la trasformò in una eccellente fortezza irrobustendo le sue mura esteriori. La fece splendida, per lasciare ai posteri un monumento del suo amore per il bello e della sua filantropia.
Pestilenza e siccità affliggono il popolo
Libro XV:299 - IX, I. - In quest'anno, il tredicesimo del regno di Erode, sulla regione si abbatterono grandi sciagure o ordinate da Dio o perché la sfortuna portava seco tali mali.
Libro XV:300 In primo luogo ci furono continue siccità e quindi la terra rimase infeconda, non mise neppure quei germogli che suole produrre spontaneamente. In secondo luogo per il cambiamento del vitto causato dalla mancanza di cereali, sopravvennero malattie, prevalsero pestilenze e continue sventure.
Libro XV:301 La mancanza di cure mediche e del vitto accrescevano l'intensità del morbo pestilenziale esploso in modo così improvviso e la morte dei colpiti privò i sopravvissuti anche del loro coraggio perché rimasero incapaci di tenere testa alle proprie difficoltà, nonostante ogni impegno.
Libro XV:302 Distrutte le rendite di quell'anno e consumate quelle che erano state immagazzinate, non era rimasta alcuna speranza di soccorso e la situazione gradualmente peggiorò al di là di quanto si aspettavano. Non solo per quell'anno nulla era loro rimasto, ma era persa anche la semente del raccolto che era stata immagazzinata ma che fu consumata e per l'anno appresso la terra non avrebbe prodotto più nulla.
Libro XV:303 Ma il loro bisogno fece trovare nuove vie di sostentamento. Per caso anche il re si trovava in un bisogno non meno grande, privo delle entrate che riceveva dai terreni, aveva messo tutto il suo denaro in ricostruzioni di sontuose città,
Libro XV:304 e non c'era nulla che sembrasse adeguato a risolvere il caso, in quanto alle (comuni) sfortune si aggiungeva, per lui, l'odio dei suoi sudditi, poiché, quando le cose non vanno bene, dalla parte del popolo vi è sempre la tendenza a incolpare coloro che comandano.
Libro XV:305 - 2 Stando così le cose, Erode meditava come andare incontro alla crisi presente; ma l'impresa non era facile perché i popoli vicini non potevano vendere grano, trovandosi anch'essi nelle stesse sfortune e perché non aveva il denaro per comprare anche piccole quantità a prezzo elevato.
Libro XV:306 Ritenne tuttavia che fosse meglio non trascurare alcuna fonte di aiuto, infranse e trasformò in moneta tutti gli arredi d'oro e d'argento del suo palazzo, non risparmiando neppure gli oggetti lavorati con cura speciale o con valore artistico.
Libro XV:307 Inviò questo denaro in Egitto dove Petronio aveva ricevuto da Cesare la carica di prefetto; non pochi avevano fatto ricorso a lui per gli stessi bisogni, ed egli che era amico di Erode, desiderava salvare i suoi sudditi: così diede a loro la priorità nell'esportazione di grano (dall'Egitto) e li assistette pienamente in tutto, nell'acquisto e nel trasporto con navi, sicché la maggior parte di questo aiuto, se non tutto, venne da lui.
Libro XV:308 Quando arrivarono le provviste, Erode ne attribuì il merito alla sua sollecitudine, e così non solo cambiò in suo favore gli animi degli antichi avversari, ma diede una grandissima dimostrazione della sua benevolenza e protezione.
Libro XV:309 Poiché in primo luogo provvide a coloro che col proprio lavoro bastavano a procacciare il cibo per se stessi distribuendo a ognuno frumento in giustissime porzioni; siccome poi vi erano molti che a motivo dell'età o per altra indisposizione non avevano la forza di lavorare il frumento per se stessi, egli provvide incaricando dei panettieri e fornendo loro del cibo già pronto.
Libro XV:310 Si prese anche cura affinché essi (i sudditi) passassero l'inverno senza pericolo, compreso il bisogno del vestiario, poiché i loro greggi, morti o consunti, non fornivano più lana o altro materiale per coprirsi.
Libro XV:311 Dopo aver provveduto ai suoi sudditi, si volse a soccorrere le città vicine e diede la semente agli abitanti della Siria; e questo portò non poco vantaggio a lui; infatti la sua generosità giunse opportuna e produsse una messe abbondante, tanto che ci fu cibo per il sostentamento di tutti.
Libro XV:312 Quando giunse per la terra il tempo della raccolta, egli inviò per la nazione non meno di cinquantamila uomini che egli stesso aveva sfamato e dei quali si era preso cura, e così, allorché aiutò il suo regno bisognoso con infaticabile munificenza e con zelo, apportò non poco sollievo ai popoli vicini che si trovavano nelle stesse difficoltà.
Libro XV:313 Non vi fu persona bisognosa di aiuto che si sia rivolta a lui e non abbia ricevuto quanto le era necessario. Dunque popoli, città e persone private che si trovavano nel bisogno perché avevano da provvedere a molti altri, rivoltisi a lui, ricevettero quanto chiedevano:
Libro XV:314 sicché, allorquando si fece il calcolo, si giunse a diecimila kor, il kor equivale a dieci medimmoi attici, dati a quanti erano fuori del regno, e circa ottantamila a quelli dentro il regno.
Libro XV:315 La sollecitudine e l'opportuna sua generosità fecero un'impressione così profonda nell'animo dei Giudei e se ne parlava così tanto nelle altre nazioni, che l'antico odio che era sorto per lo stravolgimento di alcuni usi e pratiche regie, fu completamente sradicato dall'intera nazione e la munificenza da lui dimostrata aiutandoli nelle loro gravissime difficoltà, fu considerata una piena compensazione.
Libro XV:316 Si fece molto onore anche tra le nazioni straniere; sembrava che le difficoltà sopraggiunte, maggiori di quanto si possa dire a parole, e la desolazione del regno che ne seguì, contribuirono alla sua buona reputazione. Poiché l'inattesa grandezza d'animo di cui diede prova in questo difficile
periodo, portò quasi a un rovesciamento dell'atteggiamento delle masse a suo riguardo. Si ritenne, per questo, che egli non appartenesse a quel genere di persone che si manifestano pienamente fin dall'inizio, ma a quel genere di persone che si manifesta pienamente nel soccorrere i bisogni degli altri.
Erode edifica la reggia e sposa la
figlia di un sacerdote
Libro XV:317 - 3. In quel periodo inviò a Cesare cinquecento uomini scelti della sua guardia del corpo, come forza ausiliaria, uomini che risultarono molto utili a Elio Gallo che li condusse al Mar Rosso.
Libro XV:318 E quando gli affari gli andavano nuovamente bene ed erano sempre più prosperi, edificò una reggia nella Città Alta, ove costruì camere alte e vastissime, le decorò in modo costosissimo con oro, pietre e pitture; ognuna di esse aveva giacigli per contenere un gran numero di persone, e variavano di dimensione e di nome: una era detta di Cesare, l'altra di Agrippa.
Libro XV:319 Spinto dal desiderio amoroso volle sposarsi nuovamente poiché non aveva alcuna attrazione per una vita solitaria per il suo piacere. Il matrimonio ebbe luogo nel seguente modo.
Libro XV:320 Viveva a Gerusalemme un sacerdote molto noto di nome Simone, figlio di Boeto, un Alessandrino, che aveva una figlia considerata la più bella del tempo.
Libro XV:321 Siccome di lei si parlava molto dai cittadini di Gerusalemme, e come capita, sulle prime Erode fu eccitato da quanto udiva, poi, dopo averla vista, fu colpito dall'avvenenza della ragazza; scacciò il pensiero di abusare del proprio potere per soddisfare pienamente il suo desiderio: aveva infatti buone ragioni di sospettare che sarebbe stato accusato di violenza e tirannia, e così ritenne che era meglio sposare la ragazza.
Libro XV:322 Ma siccome, da una parte, Simone non era abbastanza illustre per diventare suo parente, ma d'altra parte era troppo importante per venire disprezzato, coronò il suo desiderio in una maniera ragionevole aumentando il prestigio della figlia ed innalzando lui a una delle posizioni più onorifiche, in questo modo: depose subito Gesù, figlio di Fiabi, da sommo sacerdote, e a questo ufficio designò Simone, e poi contrasse matrimonio con sua figlia.
Costruzione dell'Herodion
Libro XV:323 - 4. Dopo la celebrazione delle nozze, costruì un'altra fortezza nei luoghi nei quali aveva vinto i Giudei dopo la sua espulsione dal regno, quando il potere era in mano di Antigono.
Libro XV:324 Tale fortezza, che dista circa sessanta stadi da Gerusalemme, è fortificata per natura e molto adatta per una struttura del genere, perché ragionevolmente vicino vi è una collina innalzata a una (notevole) altezza dalla mano dell'uomo, arrotondata a forma di seno; a intervalli aveva torri rotonde, dotata di una ripida scala formata da duecento gradini scavati sulla pietra; all'interno ha preziosi appartamenti reali fatti sia per sicurezza sia per orna-mento.
Libro XV:325 Alla base della collina vi sono piacevoli strutture edificate in un modo gradevole degne di essere viste; tra l'altro, siccome il luogo è privo di acque, l'acqua è condotta da lontano e con notevole spesa. Nella piana circostante fu edificata una città seconda a nessuna, avendo la collina che le serviva da acropoli per le altre abitazioni.
Altre costruzioni erette da Erode
Libro XV:326 - 5. Tutti gli affari prosperavano come dovevano e come lui sperava: nel regno non vi era alcun sospetto che potesse sorgere una sollevazione né alcuna molestia; egli, infatti, manteneva i sudditi sottomessi in due maniere: con la paura, dimostrandosi inesorabile nel punire, e dimostrandosi magnanimo nel curarsi di loro allorché sorgevano imprevisti bisogni.
Libro XV:327 Ma cercava sicurezza anche al di fuori, quasi intendesse fortificarsi contro i suoi sudditi; quindi usava cortesia e gentilezza con le città (dei gentili), si curava dei loro capi locali rendendoli sempre più a lui riconoscenti a motivo dei gradevoli regali che offriva a ognuno di loro di tempo in tempo. E si serviva di questa naturale magnanimità in una maniera appropriata al suo potere regio, sicché la sua posizione diveniva sempre più forte, mentre i suoi affari prosperavano.
Libro XV:328 A motivo di questa sua ambizione in questa direzione e della lusinghiera attenzione usata verso Cesare e gli influentissimi Romani, era portato ad allontanarsi dagli usi (giudaici) e a cambiare molte regole, fondando città per ambizione ed erigendo templi,
Libro XV:329 non in terra dei Giudei, poiché non lo avrebbero sopportato dato che tali cose sono a noi proibite, compresa la venerazione di statue e di forme scolpite alla maniera dei Greci, ma erigeva tali cose in regioni straniere e in territori circostante.
Libro XV:330 Scusandosi verso i Giudei, asseriva che era condotto a fare tali cose, non per sua volontà, ma perché comandato e ordinato, in quanto cercava di fare cosa gradita a Cesare e ai Romani, dicendo che era più intento a osservare gli usi della sua propria nazione, che rendere onore a loro. Tutto sommato, era intento ai propri interessi, aveva l'ambizione di lasciare ai posteri dei monumenti ancora più grandi del suo regno. Tale era lo stimolo che in modo così penetrante lo sollecitava nella ricostruzione di città e spendeva somme così notevoli in questi lavori.
Erode riedifica Cesarea
Libro XV:331 - 6. Quando osservò che vicino al mare c'era una località detta anticamente Torre di Stratone, località molto adatta a essere il sito di una città si accinse a idearne un piano magnifico ed eresse edifici per tutta la città e non con materiale ordinario, ma con marmo bianco; la abbellì con sontuosissimi palazzi e pubblici edifici;
Libro XV:332 ma (l'opera) più grande di tutte che richiese moltissimo lavoro, era un porto ben protetto, della grandezza del Pireo, con approdi e ancoraggi secondari all'interno. Di questa costruzione ciò che più appariva mirabile è che non prese sul luogo tutto il materiale adatto per un'opera così grande, ma lo integrò con materiale portato da fuori con grande spesa.
Libro XV:333 La città si trova (è localizzata) in Fenicia, lungo la strada del mare per l'Egitto, tra Joppa e Dora. Queste sono piccole città marittime e hanno porti miserabili perché battute dal vento di sud-ovest che spinge (sempre) la sabbia dal mare sul lido e così non permette un approdo tranquillo; anzi è necessario, normalmente, che le navi mercantili galleggino instabilmente al largo.
Libro XV:334 Per porre rimedio a questo inconveniente dovuto alla configurazione della regione, tracciò un porto circolare la cui circonferenza abbracciava uno spazio sufficiente affinché grosse flotte stessero all'ancora vicino a terra, e (lungo questa linea) calò degli enormi blocchi a una profondità di venti braccia; la maggior parte di questi blocchi aveva la lunghezza di
cinquanta piedi e non meno di diciotto di lunghezza e un'altezza di nove, alcuni più grandi, altri più piccoli.
Libro XV:335 Questa struttura gettata in mare come una barriera aveva duecento piedi (di larghezza); metà di essa era contrapposta all'impeto dei marosi, onde colà si snervassero i flutti delle acque, infrante da ogni parte e perciò fu chiamata “frangionda”.
Libro XV:336 L'altra metà era sostenuta da un muro in pietra intervallato da torri, la più grande di queste era un pezzo molto bello, detta Druso, in quanto portava il nome del figliastro di Cesare, Druso appunto, morto in età giovanile.
Libro XV:337 In essa fu scavata una serie di volte come rifugi per i marinai; e prima di esse c'era un'ampia banchina che circondava il porto e costituiva una piacevolissima passeggiata per quanti volevano. L'ingresso o bocca del porto era rivolto a nord perché il vento porta sempre il tempo più limpido.
Libro XV:338 Le fondamenta di tutto il muro circolare, a sinistra di quanti entravano nel porto, erano una torre poggiante su pietre e costituiva una ampia e solida base per resistere (alla pressione dell'acqua), mentre sulla destra si trovavano due grossi macigni più grandi della torre opposta, ritti e congiunti tra loro.
Libro XV:339 In cerchio, intorno al porto, si alzava una fila ininterrotta di abitazioni costruite in pietre levigate, e in mezzo a esse un monticello sul quale poggiava un tempio a Cesare, visibile da grande distanza da quanti veleggiavano verso il porto, con la statua di Roma e anche di Cesare. La città è chiamata Cesarea ed è bellissima sia per il materiale sia per le costruzioni.
Libro XV:340 I condotti sotterranei e le fogne non costarono meno sforzo delle strutture superiori. Alcune di queste sono disposte a ben ordinati intervalli l'una dall’altra dal porto e dal mare; mentre un passaggio diagonale le univa tutte in modo che fosse più agevole lo scarico dell'acqua piovana e si convogliassero assieme i rifiuti degli abitanti; e ogni volta che il mare si gonfiava, potesse penetrare attraverso tutta la città e ripulirla completamente.
Libro XV:341 Edificò ancora un teatro in pietra dentro la città e dietro sul lato meridionale del porto, (edificò) un anfiteatro molto ampio capace di accogliere una grande folla, disposto bene con la vista sul mare. Ora la città fu completata nello spazio di dodici anni, poiché il re non si arrestò mai dall’impresa e aveva i mezzi sufficienti per le spese.
Erode manda a Roma i figli e Augusto
allarga il suo territorio
Libro XV:342 - X, I. - Allorché si trovò in questo stato di cose, con Sebaste ormai fondata, decise di inviare i suoi figli, Alessandro e Aristobulo, a Roma a presentarsi a Cesare.
Libro XV:343 Una volta arrivati, abitarono in casa di Pollione che si professava uno dei più devoti amici di Erode; era stato (loro) concesso di alloggiare dallo stesso Cesare, il quale accolse i ragazzi con la più grande considerazione; e aveva concesso a Erode il diritto di lasciare il regno al figlio che voleva, e inoltre gli diede pure le regioni della Traconitide, di Batanea e di Auranite che prese per il seguente motivo.
Libro XV:344 Vi era un certo Zenodoro che aveva preso in affitto il dominio di Lisania, ma non soddisfatto delle rendite, aumentò i suoi introiti servendosi, per la Traconitide, di bande di rapinatori: gli abitanti di questa località conducevano una vita da vagabondi e derubavano la proprietà dei Damasceni e Zenodoro non solo non li frenava, ma anch'egli partecipava ai loro guadagni.
Libro XV:345 I popoli confinanti, afflitti da queste serie perdite, protestarono presso Varrone, allora loro governatore, e gli chiesero di scrivere a Cesare a proposito dei misfatti di Zenodoro. Quando questo rapporto giunse a Cesare, egli rispose che le bande di ladroni dovevano essere stroncate e il territorio doveva venire assegnato a Erode affinché, mediante la sua supervisione, la Traconitide finisse di arrecare noie ai vicini.
Libro XV:346 In pratica non era facile porre freni a un popolo che del brigantaggio aveva fatto una maniera di vivere e non aveva altri mezzi di sostentamento; costoro non avevano una città né la proprietà di campi, ma soltanto rifugi sotterranei e grotte ove vivevano col loro bestiame; si erano però provvisti di raccolte d'acqua e di viveri, sicché potevano resistere a lungo nei loro nascondigli.
Libro XV:347 Gli ingressi (alle loro grotte) erano stretti, solo una persona alla volta poteva entrare, mentre gli interni erano incredibilmente vasti, costruiti per fornire uno spazio ampio; il terreno al di sopra delle loro abitazioni non era alto, ma pressoché al livello della (circostante) superficie. La superficie era costituita tutta di rocce accidentate e di difficile accesso a meno che uno segua un sentiero
sotto la scorta di una guida, poiché neppure questi sentieri sono diritti, ma hanno molti giri, rigiri e tortuosità.
Libro XV:348 Quando a costoro fu impedito di maltrattare i vicini, presero l'abitudine di derubarsi l'un l'altro, tanto che non v'era iniquità che non fosse commessa. Ma quando Erode ricevette questo dono da Cesare e con la scorta di guide esperte raggiunse il loro territorio pose fine al loro agire criminale, e portò sicurezza e pace ai popoli confinanti.
Libro XV:349 - 2. Zenodoro in collera in primo luogo per la sua eparchia che gli era stata tolta, e ancora più arrabbiato per l'invidia che aveva verso Erode che gliela aveva presa, andò a Roma per accusarlo, ma ritornò senza avere concluso nulla.
Libro XV:350 Intanto Agrippa fu inviato da Cesare quale luogotenente nelle province al di là del Mare Jonio, e mentre svernava a Mitilene, Erode, suo strettissimo confidente e amico, andò a trovarlo, poi se ne ritornò in Giudea.
Libro XV:351 E allorché alcuni abitanti di Gadara si presentarono ad Agrippa con accuse contro Erode, egli li inviò in catene al re senza dare loro la parola.
Inimicizia da parte degli Arabi
In seguito gli Arabi, da tempo ostili al governo di Erode e in agitazione, tentarono di rivoltarsi contro la sua autorità e, a loro modo di vedere, per motivi molto ragionevoli.
Libro XV:352 Perché Zenodoro, che ormai disperava della propria causa e si era affrettato a vendere loro una parte della sua eparchia, (cioè) l'Auranite, per cinquanta talenti, e siccome questa era compresa nel regalo di Cesare (a Erode), essi discutevano (della sua proprietà) basandosi sul fatto che ne erano stati privati ingiustamente. Spesso compivano scorrerie su tale territorio e tentavano di impadronirsene con la forza, altre volte facevano ricorso a procedimento legali.
Libro XV:353 Ingaggiavano anche soldati poveri e ostili (a Erode) ed erano sempre pieni di speranza nell'attesa di una rivoluzione benvenuta specialmente per quanti nella vita sono disgraziati. Benché da tempo fosse a conoscenza di quanto stava per accadere, Erode non mise in atto alcuna azione ostile, ma cercò
ragionevolmente di calmarli; giacché riteneva saggiamente di non offrire loro delle scuse per causare tumulti.
Augusto visita la Giudea e assolve Erode dalle
accuse dei Gadareni
Libro XV:354 - 3. Quando Erode compì i diciassette anni del suo regno, Cesare venne in Siria. E in questa occasione molti abitanti di Gadara accusarono Erode di essere troppo severo e tirannico nei suoi ordini.
Libro XV:355 Ardirono diffondere tali accuse perché Zenodoro era singolarmente insistente nelle sue denunzie contro di lui e dava loro delle assicurazioni giurate che non avrebbe cessato di compiere ogni sforzo affinché fossero sottratti al regno di Erode, e uniti al territorio governato da Cesare.
Libro XV:356 Persuasi da queste promesse, i Gadareni fecero gran rumore, perché imbaldanziti dal fatto che Erode aveva rilasciato gli uomini inviatigli da Agrippa affinché li punisse e non fece loro alcun male. E invero egli aveva la fama di essere il più inesorabile di tutti gli uomini verso quelli del suo popolo che mancavano, ma il più magnanimo nel perdonare i forestieri.
Libro XV:357 Ed essi lo accusarono di violenza, di razzia, di distruzione di templi; ma Erode, imperturbabile, era pronto a difendersi; e Cesare lo accolse con amicizia, non cambiò in alcun modo la sua benevolenza a motivo del chiasso della folla.
Libro XV:358 Nel primo giorno, dunque, i discorsi furono su questi argomenti; ma nei giorni seguenti l'indagine non andò oltre; i Gadareni constatarono quale fosse l'inclinazione dello stesso Cesare e del suo consiglio; essi si aspettavano, com'era verosimile, di essere consegnati in mano del re e temevano di venire maltrattati, e alcuni di essi, durante quella notte, si tagliarono la gola, altri si gettarono da precipizi o si ammazzarono gettandosi spontaneamente nel fiume.
Libro XV:359 Tutto questo parve temerarietà e autocondanna della loro colpa; e Cesare, senza indugio, scagionò dalle accuse addotte contro di lui: e così un nuovo e sostanziale tratto di buona fortuna andò ad aggiungersi ai precedenti. A Zenodoro, che soffriva all'intestino, si aprirono le interiora, perdette molto sangue e abbandonò la vita ad Antiochia di Siria.
Libro XV:360 Perciò il suo territorio, che non era piccolo, Cesare lo diede a Erode. Era sito tra la Traconitide e la Galilea, e comprendeva Ulatha e Panea, e la regione circostante; inoltre lo associò ai procuratori di Siria, dando loro istruzioni affinché per ogni loro azione avessero l'assenso di Erode.
Libro XV:361 Raggiunse così un tale grado di buona fortuna che dei due uomini che reggevano il potente impero romano, (cioè) Cesare e dopo di lui Agrippa, al quale egli era devoto, non v'era nessuno che Cesare, dopo Agrippa, tenesse, mentre Agrippa dava a Erode il primo posto dopo Cesare nella sua amicizia, in maggiore considerazione, Erode.
Libro XV:362 Perciò, godendo di una così naturale libertà di parola, chiese a Cesare una tetrarchia per suo fratello Ferora, smembrando in suo favore dal proprio regno la rendita di cento talenti, affinché in caso di morte, la posizione di Ferora fosse salva, e i propri figli (di Erode) non potessero prenderne possesso.
Libro XV:363 Dopo avere accompagnato Cesare al mare, quando fece ritorno, gli eresse un tempio magnifico di marmo bianco nel territorio di Zenodoro, vicino alla località detta Paneion.
Libro XV:364 Nelle montagne c'è qui una bella grotta, e nel terreno sottostante si apre una voragine di incredibile profondità, piena di acqua stagnante, e al di sopra s'innalza un'altissima montagna. Sotto la grotta vi sono le sorgenti del fiume Giordano. Era un luogo molto rinomato che (Erode) abbellì ancora più con un tempio consacrato a Cesare.
Erode
Libro XV:365 - 4. E’ in questo periodo che egli condonò al popolo del regno una terza parte dei tributi, sotto l'apparente motivazione che (il popolo) si rifacesse del periodo di mancanza di raccolti, ma in realtà con la più importante motivazione di accattivarsi la benevolenza di quanti erano scontenti. Costoro, infatti, erano offesi nel sopportare quello che a loro pareva un disfacimento della religione e una scomparsa dei loro costumi: questi argomenti erano discussi da tutti, perché si sentivano sempre provocati e turbati.
Libro XV:366 Egli, tuttavia, prestava molta attenzione a questa situazione, ed eliminava ogni eventuale opportunità che potevano avere, avvertendoli di applicarsi sempre al loro lavoro. Non erano permesse adunanze di cittadini, né
passeggiate in compagnia di altri, né era permesso riunire gruppi; tutti i loro movimenti erano spiati. Quelli colti in fallo venivano puniti severamente, molti erano catturati sia apertamente sia in maniera segreta, trasferiti alla fortezza di Ircania e qui uccisi; sia in città che nelle pubbliche strade vi erano persone che spiavano quelli che facevano gruppo.
Libro XV:367 Si diceva che neppure lui (Erode) fosse assente da questa pratica, ma spesso, di notte, indossava abiti da privato cittadino e si mescolava alla folla per farsi un'idea dei sentimenti che essi nutrivano a proposito del suo governo.
Libro XV:368 Quelli che più ostinatamente si rifiutavano di accordarsi alle sue nuove abitudini, venivano perseguitati in ogni maniera. Al resto della folla chiedeva sottomissione con giuramento di lealtà, obbligando a compiere una dichiarazione giurata di mantenere un'attitudine amichevole verso il suo governo.
Libro XV:369 La maggioranza si sottomise, per compiacenza o per timore, alla sua richiesta ma quelli che mostravano un po' di coraggio e male sopportavano tale violenza, li eliminò con ogni mezzo.
Libro XV:370 Cercò pure di persuadere il fariseo Pollione e Samaia e la maggior parte dei loro discepoli a fare il giuramento, ma essi non acconsentirono, e tuttavia, in considerazione del rispetto verso Pollione, non furono puniti come lo erano gli altri che rifiutarono.
Gli Esseni ed Erode
Libro XV:371 E quelli che da noi sono detti Esseni erano esentati da questo obbligo. Si tratta di un gruppo che segue un genere di vita che ai Greci fu insegnato da Pitagora. Di costoro parlerò più chiaramente altrove.
Libro XV:372 E’ bene tuttavia esporre il motivo per cui (Erode) teneva in onore gli Esseni e aveva di loro una considerazione più alta della (semplice) natura mortale; poiché tale discorso non è fuori luogo in un'opera di storia, dato che illustrerà allo stesso tempo qual era la (generale stima (che vi era) su costoro.
Libro XV:373 - 5. Vi era un Esseno di nome Manaem che per testimonianza di tutti conduceva una vita di grande virtù ed era dotato da Dio della previsione delle cose future. Incontratosi con Erode, ancora fanciullo, che andava dal suo maestro, lo salutò “re dei Giudei”.
Libro XV:374 Egli, pensando che non lo conoscesse o che si facesse gioco di lui, gli ricordò quello che era; cioè solo un privato cittadino. E Manaem sorrise gentilmente e gli diede una pacca sulle spalle, dicendo: “Eppure tu regnerai e il tuo dominio sarà felice poiché sei stato giudicato degno da Dio. E ricordati delle carezze di Manaem, di modo che anch'esse siano per te un segno di quanto possa mutare la fortuna.
Libro XV:375 Ottimo, infatti, è questo discorso, se amerai la giustizia e la pietà verso Dio e la moderazione verso i cittadini. Ma io so che tu non sarai così poiché conosco tutta la situazione.
Libro XV:376 Ora tu sarai scelto per una fortuna così felice che non ebbe nessun altro, e avrai una gloria eterna, ma al termine della tua vita, tu dimenticherai la pietà e la giustizia; questo però non può sfuggire a Dio e al termine della tua vita la Sua collera attesterà che Egli si ricorda di queste cose”.
Libro XV:377 Sul momento Erode prestò molto poca attenzione a queste parole, perché era sprovvisto di questo genere di speranze; ma a mano che avanzava nella regalità e nella buona fortuna, e quando giunse al massimo del suo potere, mandò a chiamare Manaem e lo interrogò quanto ancora sarebbe durato il suo regno.
Libro XV:378 Manaem non rispose nulla. Di fronte al silenzio, domandò se avesse ancora dieci anni di regno; l'altro rispose che ne aveva venti e forse trenta, ma non fissò un limite al tempo stabilito. Erode tuttavia restò soddisfatto da questa risposta, e con cortesia congedò Manaem. Da quel tempo seguitò a mantenere gli Esseni in grande onore.
Libro XV:379 Mi è parso che fosse a proposito riferire queste cose ai lettori, per quanto possano apparire incredibili, e rivelare ciò che ebbe luogo tra di noi poiché molte di queste persone sono favorite dalla conoscenza di cose divine a motivo della loro virtù.
Erode parla della ricostruzione del tempio
Libro XV:380 - XI, I. - Fu in questo tempo, nel diciottesimo anno del suo regno, dopo gli eventi sopra menzionato, che Erode diede inizio a un lavoro straordinario, la ricostruzione del tempio di Dio a sue proprie spese, allargandone i recinti ed elevandolo a una altezza più imponente. Riteneva che
l'adempimento di questa impresa sarebbe stata l'impresa più insigne di quelle finora compiute e sufficiente ad assicurargli una memoria immortale.
Libro XV:381 Ma siccome era conscio che la folla non era disposta né facile a intraprendere un'impresa così grande, pensò che fosse opportuno predisporre tutti a lavorare all'intero progetto facendo un discorso al popolo. Perciò lo convocò e parlò come segue.
Libro XV:382 “Per quanto mi riguarda tutte le altre opere portate a termine durante il mio regno, miei concittadini, non ritenni necessario parlarne, sebbene fossero tali che il prestigio che da esse mi viene è inferiore alla sicurezza che hanno portato a voi,
Libro XV:383 poiché nelle maggiori difficoltà non trascurai quanto vi poteva essere di aiuto nei vostri bisogni, e nelle mie costruzioni, ho tenuto d'occhio sia la mia invulnerabilità che quella di tutti voi, e, per volere di Dio, ritengo di avere condotto la nazione giudaica a uno stato di prosperità, mai conosciuto finora.
Libro XV:384 Ora mi pare che non ci sia alcun bisogno di parlarvi delle varie costruzioni che abbiamo erette nella nostra regione, nelle città della nostra terra e in quelle dei territori conquistati, come dei più bei ornamenti con i quali abbiamo abbellito la nostra nazione, avendo coscienza che voi tutti le conoscete benissimo.
Libro XV:385 Non così è dell'impresa che ora vi proporrò; è l'impresa più pia e bella del nostro tempo, quella che ora vi illustrerò. Così era, infatti, il tempio che i nostri padri hanno innalzato al Dio Altissimo dopo il loro ritorno da Babilonia; ma alla sua altezza mancavano sessanta cubiti, per raggiungere quella del primo tempio edificato da Salomone.
Libro XV:386 Nessuno condanna i nostri padri di negligenza nel loro pio lavoro, poiché non fu mancanza loro se il tempio è più piccolo; furono Ciro e Dario, figlio di Istarpe, che prescrissero tali dimensioni per l'edificio, e dato che i nostri padri erano soggetti a loro e ai loro discendenti e dopo di essi ai Macedoni, non ebbero alcuna opportunità di restaurare questo primo pio archetipo alle sue primitive misure.
Libro XV:387 Siccome ora, per volere di Dio, governo io e continuerà a esservi un lungo periodo di pace, abbondanza di ricchezze e raccolti buoni e, ciò che più conta, i Romani sono, per così dire, i padroni del mondo e amici leali, cercherò di rimediare alla svista causata dalla necessità e sudditanza dei tempi passati, e
per mezzo di questo atto di pietà ottenere un totale ritorno a Dio per il dono di questo regno”.
Libro XV:388 - 2. Erode parlò così e le sue parole fecero stupire la maggioranza degli ascoltatori, poiché scese nelle loro orecchie come qualcosa di totalmente inaspettato. Mentre una parte non era disturbata dalla inverosomiglianza delle sue promesse, erano sgomenti al pensiero che egli buttasse giù l'intero edificio e poi non avesse i mezzi sufficienti per realizzare il suo progetto. E tale pericolo pareva loro molto grande, e l'ampiezza dell'impresa sembrava di difficile realizzazione.
Libro XV:389 Mentre essi la pensavano così, il re parlò incoraggiandoli; diceva che non avrebbe tirato giù il tempio prima di avere pronto tutto il materiale necessario per la fine dell'impresa. E queste assicurazioni non le smentì.
Libro XV:390 Preparato, dunque, un migliaio di carri per portare le pietre, scelti diecimila dei più valenti operai, acquistò abiti sacerdotali per un rifornimento di sacerdoti, addestrò alcuni a fare i muratori, altri a fare i carpentieri, e diede inizio alla costruzione solo dopo che tutto ciò era stato accuratamente preparato da lui.
Libro XV:391 - 3. Levate le antiche fondamenta, pose le altre e su di queste eresse il tempio, che aveva cento cubiti di lunghezza... e venti di altezza, ma con l'andare del tempo queste fondamenta si abbassarono. E queste parti abbiamo deciso di rialzarle, al tempo di Nerone.
Libro XV:392 Il tempio era costruito di pietre dure e bianche, ognuna di circa venticinque cubiti di lunghezza, otto di altezza e dodici di larghezza.
Libro XV:393 Nell'insieme di esso, come nel portico regale, da una parte e dall’altra il livello non era uguale; la parte più alta era al centro, cosicché questa era visibile a distanza di molti stadi dagli abitanti della regione, specialmente da coloro che abitavano dirimpetto o gli si avvicinavano.
Libro XV:394 Le porte di ingresso avevano architravi uguali (all'altezza) dello stesso tempio; li ornò di pendenti variopinti con colori di porpora e con disegni intrecciate dei pilastri.
Libro XV:395 Sopra di questi, sotto il cornicione, si stendeva una vite d'oro con grappoli pendenti: costituiva una meraviglia e sia per la grandezza che per l'arte, per tutti coloro che lo vedevano edificato con materiale tanto prezioso.
Libro XV:396 Circondò il tempio di ampi portici, tutti costruiti in proporzione (del tempio); per il costo sorpassò i suoi predecessori, sicché si pensava che mai alcuno avesse ornato il tempio con tanto splendore. Ambedue (i portici) erano (retti) da una grande muraglia, questa muraglia era la più grande, edificata dall’uomo, di cui mai si sia sentito parlare.
Libro XV:397 La collina era una parete rocciosa che degradava dolcemente verso la parte orientale della città dal versante con la cima più alta.
Libro XV:398 Il nostro primo re, Salomone, con la saggezza datagli da Dio, circondò questa collina con grandi opere nella parte superiore. In basso, iniziando dalla base, dove è circondata da una valle profonda, egli la (collina) circondò con enormi pietre tenute legate assieme da piombo; tagliò sempre più le falde dell'area interna in maniera che (il muro) si trovò a una maggiore profondità,
Libro XV:399 cosicché la dimensione e l'altezza della forma quadrangolare erano immense, la grandezza della misura delle pietre appariva lungo la superficie frontale, mentre ganasce di ferro interne assicuravano le giunture affinché rimanessero sempre unite.
Libro XV:400 Quando il lavoro raggiunse la vetta della collina, livellò la sommità, riempì gli spazi vuoti vicino alle mura, e appianò tutta la superficie in ogni parte. Così era tutto il recinto avente una circonferenza di quattro stadi e, ogni lato, la lunghezza di uno stadio.
Libro XV:401 Dentro questo recinto e fino alla cima della collina, sorgeva un altro muro di pietra che sul bordo orientale sosteneva un doppio portico della stessa lunghezza del muro, dirimpetto alle porte del tempio. Molti dei re passati abbellirono questo portico.
Libro XV:402 Tutt'intorno al tempio erano esposti i bottini presi dai Barbari, tutti dedicati dal re Erode che aggiunse anche quelli catturati agli Arabi.
Libro XV:403 - 4. Sull'angolo settentrionale era stata edificata un'acropoli ben fortificata e di una robustezza non comune. I re e i sommi sacerdoti della famiglia Asmonea l'avevano eretta prima di Erode e la chiamarono baris. Qui avevano deposto la veste sacerdotale che il sommo sacerdote indossava quando aveva da offrire il sacrificio.
Libro XV:404 Veste che Erode conservò in quel luogo e dopo la sua morte passò sotto la custodia dei Romani fino al tempo di Tiberio Cesare.
Libro XV:405 In seguito, quando Vitellio, governatore della Siria, visitò Gerusalemme, la folla gli riservò una splendida accoglienza ed egli volle ricambiare la loro cortesia, e siccome avevano chiesto di avere la sacra veste sotto la loro autorità, egli scrisse, in merito, a Tiberio Cesare il quale acconsentì alla richiesta; e l'autorità sulla veste rimase in mano dei Giudei fino alla morte del re Agrippa.
Libro XV:406 Dopo tale evento, Cassio Longino, governatore della Siria e Cuspio Fado, procuratore della Giudea, ordinarono ai Giudei di deporre la veste nella (fortezza) Antonia, poiché, dicevano, i Romani devono esserne i padroni come lo erano prima.
Libro XV:407 Perciò i Giudei inviarono dei messi a Claudio Cesare per pregarlo a tale proposito; al loro arrivo a Roma il giovane Agrippa che si trovava a Roma, domandò e ricevette questa autorità dall’imperatore e in tal senso diede istruzioni a Vitellio, legato in Siria.
Libro XV:408 Prima era custodita sotto il sigillo del sommo sacerdote e dei tesorieri (del tempio), e un giorno prima di una festa i tesorieri dovevano andare dal comandante della guarnigione romana e, dopo avere ispezionato il sigillo, andavano a prendere la veste; finita la festa essi (i tesorieri) la riportavano nello stesso luogo e dopo avere mostrato al comandante della guarnigione un sigillo corrispondente (al primo) riponevano nuovamente la veste.
Libro XV:409 Questa digressione è stata occasionata dalla triste esperienza che si ebbe dopo. Dunque Erode, re dei Giudei, fece questa baris più forte per salvare e proteggere il tempio e, per gratificare Antonio, suo amico e comandante dei Romani, la chiamò Antonia.
Libro XV:410 - 5. Nel lato occidentale del recinto c'erano quattro porte: la prima portava al palazzo (con una strada) tagliata nella valle; altre due conducevano ai sobborghi, l'ultimo menava all'altra parte della città dalla quale era separata da molti gradini che andavano giù nella valle e di qui su sulla collina. Poiché la città era situata dirimpetto al tempio, disposta come un teatro circondato da una valle profonda lungo tutto il lato meridionale.
Libro XV:411 Il quarto lato di questo (cortile), il lato meridionale, aveva, anch'esso a metà, delle porte e al di sopra di esse aveva il Portico Reale, fornito
di tre navate che in lungo, si stendeva da oriente alla valle occidentale; non era possibile estenderla di più.
Libro XV:412 Era una struttura più meravigliosa di ogni altra sotto il sole: perché la profondità della valle era grande, e nessuno che si piegasse per guardare dall'alto poteva sopportare la vista del fondo; tanto era grande l'altezza del portico, che se qualcuno avesse guardato giù dalla cima combinando le due altezze, avrebbe sofferto di vertigini e il suo sguardo sarebbe stato incapace di raggiungere il termine di quella profondità senza misura.
Libro XV:413 Le colonne (del portico) erano disposte in quattro file, una davanti all'altra per tutta la lunghezza - la quarta fila era unita a un muro costruito di pietre - e lo spessore di ogni colonna era tale che per misurarne la circonferenza sarebbe stato necessario l'abbraccio di tre uomini contemporaneamente a braccia tese; la sua altezza era di ventisette piedi; e attorno alla base correva una cornice doppia.
Libro XV:414 Il numero di tutte le colonne era di cento sessantadue e i capitelli avevano ornamenti scolpiti in stile corinzio, e tutti intagliati in modo così stupendo che l'insieme destava un effetto meraviglioso.
Libro XV:415 Siccome erano disposte in quattro ordini, costituivano tra loro tre navate, sotto i portici. Due di esse erano parallele ed erano fatte allo stesso modo, ognuna larga trenta piedi, lunga uno stadio alta cinquanta piedi. Ma la fila di mezzo era larga una volta e mezzo più delle altre e aveva un'altezza doppia, troneggiava così sulle altre ai due lati.
Libro XV:416 I soffitti (del portico) fatti di legno massiccio, erano ornati con fregi intagliati con varie figure. Il soffitto della navata centrale si elevava a un'altezza maggiore e il muro tagliato da ambo le parti a ridosso degli architravi con le colonne incastrate dentro; tutto era brillante e queste strutture parevano incredibili a quanti non le avevano viste e destavano altrettanto stupore in quanti le vedevano.
Libro XV:417 Tale, dunque, era il primo recinto. All'interno non molto lungi da questo, ce n'era un secondo, al quale si accedeva per mezzo di pochi gradini, circondato da una balaustra di pietra ove c'era un'iscrizione che proibiva l'ingresso agli estranei sotto la pena di morte.
Libro XV:418 Nel lato meridionale e nel lato settentrionale il recinto interno aveva tre porte a uguale distanza l'una dall’altra: sulla parte ove sorge il sole vi
era una porta grande, dalla quale entravano, con le rispettive mogli, quelli di noi che sono ritualmente puri.
Libro XV:419 Dentro questo recinto vi era il (recinto) sacro ove l'ingresso era proibito alle donne; ancora più in là vi era un terzo recinto il cui ingresso era permesso ai soli sacerdoti; in questo (recinto) si trovava il tempio: davanti c'è un altare, sul quale noi siamo soliti offrire a Dio tutti gli olocausti.
Libro XV:420 Il re Erode non entrò in alcuno di questi recinti perché non era sacerdote e perciò non gli era permesso fare questo; le costruzioni dei portici e dei recinti esterni furono invece oggetto dei suoi diretti interessi. E terminò l'edificio in otto anni.
Libro XV:421 - 6. Lo stesso tempio fu edificato dai sacerdoti in un anno e sei mesi. Tutto il popolo fu pieno di gioia. Anzitutto ringraziò Dio per la velocità (del lavoro) e poi per lo zelo del re ed essi festeggiavano e acclamavano per la restaurazione.
Libro XV:422 Allora il re sacrificò a Dio trecento buoi e altri fecero lo stesso, ognuno secondo i propri mezzi. Sarebbe impossibile dare il numero di questi (sacrifici), perché oltrepasserebbe la nostra possibilità di compiere una stima veritiera.
Libro XV:423 E accadde che il giorno nel quale si pose fine al lavoro del tempio, coincise con quello della ascesa (al trono) del re che erano soliti festeggiare. A motivo della duplice occasione, la festa risultò veramente fastosa.
Libro XV:424 - 7. Per il re si fece inoltre un passaggio sotterraneo segreto che conduceva dall’Antonia alla porta orientale del sacro recinto interno, e al di sopra eresse una torre per se stesso, per avere la possibilità di entrarvi servendosi del passaggio sotterraneo e quivi proteggersi in caso di una rivolta popolare contro il re.
Libro XV:425 Si dice che nell'epoca in cui fu costruito il tempio, durante il giorno non cadde mai la pioggia, ma soltanto durante la notte, cosicché non vi fu alcuna interruzione dei lavori. E questa storia tramandataci dai nostri padri, non è incredibile se si considerano le altre manifestazioni di potenza date da Dio. Questo, dunque, è il modo in cui fu ricostruito il tempio.